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SARÀ VERA TENDENZA QUELLA DEI VINI A BASSO “IMPATTO” ALCOLICO? TRA OPPORTUNITÀ DI MERCATO ED ESIGENZE AGRONOMICHE, TRA TECNICHE PER ABBASSARE I GRADI E RICERCA ... ESPERTI A CONFRONTO A VINITALY, CON “L’INFORMATORE AGRARIO”

Vini a ridotto “impatto” alcolico, un tema decisamente sul tappeto nel mondo del vino e probabilmente destinato sempre più ad entrare nella discussione e, non in modo secondario, nelle strategie delle imprese. Se all’estero i vini a contenuto alcolico minimo non sono una novità e possono contare già su un mercato, peraltro dalle cifre tendenzialmente irrisorie (1% della quota di mercato in Gran Bretagna, solo per fare un esempio), nel Bel Paese (benché esistano già delle aziende impegnate su questo fronte) i vini “dealcolati“, per il momento, non sembrano costituire una tipologia particolarmente in primo piano. Per il momento, però. I controlli sul tenore alcolico dei guidatori, le mode salutiste in tema di alimentazione e i mercati in crisi che non vedono l’ora di poter lanciare qualche novità, infatti, rischiano di creare tali e tante sollecitazioni da non poter certo lasciare il tema ai margini. Per non fare cenno ai problemi che potrebbero sorgere in seguito ad un clima, che al di là, delle diatribe più o meno scientifiche, pare proprio aver cambiato le sue temperature verso l’alto. Parte da qui il convegno di Vintaly 2011“Intorno ai 12, vini a ridotto tenore di alcol, un’opportuintà di mercato”, organizzato da “L’Informatore Agrario”.

Se di certo “il modello viticolo italiano negli ultimi 30 anni non ha fatto altro che portare a successi commerciali - spiega Leonardo Valenti Professore di viticoltura dell’Università di Milano - forse bisognerebbe affrontare il tema un po’ meno sull’onda delle opportunità di mercato o delle mode, chiedendoci magari se tutti i vitigni italici possono sopportare un processo di dealcolizzazione senza perdere le loro caratteristiche peculiari e se produrre un vino da 1,2,3, gradi non finisca per incidere sulla stessa viticoltura, affossando definitivamente il valore della materia prima”.

“Se in generale resta di estrema complessità la valutazione dell’effetto della dealcolizzazione sull’identità sensoriale di un vino - aggiunge Luigi Mojo, professore di enologia all’Università Federico II di Napoli - tanto che una operazione di sottrazione del 2% di alcol lascia indistinguibile il campione trattato dal suo testimone, è altrettanto vero che un crescente aumento del livello di dealcolizzazione procura una perdita sensibile di molecole sensorialmente attive”.

Se i metodi per abbassare in modo non drastico il grado alcolico di un vino (anzi delle uve da cui sarà prodotto) trovano il loro campo d’applicazione più importante nel vigneto, con pratiche come la regolazione degli apporti idrici, la scelta di portinnesti più resistenti alla carenza idricia o che rallentano la maturazione delle uve o, ancora, attraverso una attenta gestione del suolo e delle concimazioni, molto più diretto è quanto si può fare sul vino in cantina. Dai lieviti con rese in alcol inferiori, alla diminuzione del tenore zuccherino attraverso l’ossidazione del glucosio, alla classica diluizione dei mosti con acqua. Questi sono i metodi più immediati per dealcolare un vino, ma la moderna tecnica enologica mette a disposizione anche la tecnica della “Spinning Cone Column” (tecnica fisica che permette l’evaporazione dell’etanolo), l’estrazione dell’etanolo con CO2, la combinazione di osmosi inversa e distillazione e la pervaporazione.

Tuttavia, è tendenzialmente innegabile che il futuro per i vini a bassa gradazione sarà roseo. E se, attualmente, il loro mercato è molto complesso e si differenzia tra i diversi Paese, la loro domanda sta aumentando nei Paesi non tradizionalmente produttori e anche in quelli a maggiore tradizione vinicola. “Negli ultimi anni è cresciuta l’offerta di prodotti con un grado di alcol inferiore a 10% vol. - spiega Antonio Seccia del Dipartimento di Sicenze Agro-ambientali e territoriali dell’Università di Bari - Si tratta di un insieme molto eterogeneo per natura e modalità di presentazione dei prodotti che lo compongono, i quali, peraltro - continua il ricercatore - a parità di grado alcolico sono etichettati in modo differente nei diversi mercati a causa delle differenze nelle regolamentazioni esistenti a proposito di grado minimo del vino propriamente detto e alla presneza in alcuni Paesi di normative ed etichette specifiche per i prodotti dealcolizzati”.

Per quanto riguarda il “polso” del mercato del Bel Paese, un sondaggio del Gruppo Santa Margherita resta il documpento più importante, anche se la realtà produttiva veneta non produce vini dealcolati Il grado alcolico è determinate nella scelta per qausi la metà degli intervistati (47%) e che il 40% tende a scegliere prodotti con gradazione alcolica più contenuta, categoria che, secondo il 73% del campione, corrisponde a vini con tenore alcolico pari o inferiore a 10% vol.

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