Nei campi italiani mancano, oggi, 100.000 lavoratori per assicurare le attività di raccolta, ed è ora essenziale completare il percorso avviato negli ultimi mesi per far incontrare realmente domanda e offerta, abbattendo la burocrazia, togliendo spazio al caporalato e rispondendo alle effettive esigenze delle imprese agricole e di sicurezza degli addetti. Lo dice Coldiretti alla vigilia del “click day”, fissato per domani, 12 febbraio, per la presentazione delle istanze del Decreto flussi 2025 relativo alle domande per lavoratori subordinati stagionali per il settore agricolo, oltre a quello turistico-alberghiero.
Sono attorno al milione i lavoratori impiegati nelle 185.000 aziende agricole che assumono manodopera, per un totale di oltre 120 milioni di giornate lavorative l’anno, secondo l’analisi Coldiretti. Oltre un terzo della forza lavoro nei campi proviene da Paesi esteri, con lavoratori rumeni, indiani, marocchini, albanesi e senegalesi tra i più numerosi. Una presenza divenuta nel corso degli anni fondamentale per garantire il made in Italy a tavola, ma che non basta ancora a soddisfare tutte le esigenze delle imprese agricole, anche a causa di alcune carenze nell’attuale legislazione, proprio a partire dal “click day”.
Il problema principale è che l’attuale sistema non prende in considerazione il carattere stagionale dell’attività agricola. Accade spesso che, a causa di problemi burocratici e nei visti, un lavoratore arrivi a stagione di raccolta finita, quando ormai non serve più. Ma è anche assurdo imporre alle aziende di prendere a febbraio un lavoratore che magari servirà in autunno inoltrato. Senza dimenticare il fatto che gli effetti dei cambiamenti climatici stanno rendendo sempre più complicata la programmazione a lungo termine delle attività nelle campagne.
Da qui la richiesta Coldiretti di adottare una gestione diretta e monitorata dei flussi migratori, che sarebbe oggi possibile proprio grazie al lavoro di concertazione fatto nei mesi scorsi con le modifiche al Decreto flussi. I prossimi passi sono quelli di potenziare l’attività di formazione, a partire da quella effettuata nei Paesi di origine, per consentire alle imprese di avere addetti già formati e ai lavoratori di essere pienamente consapevoli circa il corretto uso dei mezzi di produzione, anche dal punto di vista della sicurezza.
Ma occorre anche risolvere il problema di quei lavoratori che sono venuti in Italia per essere impiegati nei campi e che poi sono rimasti nel nostro Paese per poter essere assunti l’anno successivo, finendo però in questo modo in una condizione di irregolarità. Con il paradosso, conclude Coldiretti, che le aziende che vorrebbero e potrebbero utilizzarli non possono farlo. In questo modo si finisce per alimentare fenomeni malavitosi, a partire dal caporalato, con pericoli per i lavoratori e concorrenza sleale verso le imprese oneste.
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