“Gesù non parla molto di cosa sarà il Paradiso, ma nel Vangelo secondo Matteo (26,29) dice: “Berrò il vino nuovo nel Regno di Dio”, dove la novità corrisponde anche al fatto che non sarà vino alterato dal male, come invece mette in guardia l’Apocalisse. Nel Codice di diritto canonico, che è il massimo documento di riferimento di tutte le regole della Chiesa, l’utilizzo del vino per la celebrazione eucaristica è persino codificato: “Il vino deve essere naturale, del frutto della vite e non alterato”. Nella tradizione cristiana c’è da sempre questa immagine della cura e dell’attenzione legata al vino, di cui ha parlato anche papa Francesco, ricordando come il vino sia un dono di cui gioire, da custodire. Il vino diventa anche emblema di quell’attenzione al territorio, all’ambiente, alla cura che le è intrinseca. Potremmo dire che i primi veri ecologisti siano i vignaioli”: sono le riflessioni di Don Luca Passarini, responsabile della comunicazione della Diocesi di Verona, ospite della famiglia Zenato, una delle più importanti griffe dell’enologia veneta, in occasione del Salotto “Parola di vino”, incontri nati per conversare su vari argomenti.
Sull’importanza di salvaguardare il nostro territorio e l’ambiente in cui viviamo è intervenuta Nadia Zenato ricordando quanto sia importante saper apprezzare ciò che abbiamo “senza farci prendere dall’esuberanza, dal voler fare sempre di più. Dobbiamo avere la consapevolezza ed essere appagati di ciò che facciamo e farlo sempre meglio. Bisogna anche avere il coraggio, quando ci sono per esempio delle annate che non sono come ci si aspetterebbe, rispettare i tempi della natura e saper rinunciare, per esempio, a fare determinati vini. Il vino è un bene prezioso che si produce dai tempi più remoti ed è nostro compito salvaguardarlo”. Proprio per questa sua rilevanza valoriale, vigne e vino sono usati come metafora della cura del Signore nei confronti dell’uomo e gli stessi termini ricorrono numerosi nei Testi Sacri: la parola vino nella Bibbia viene citata 278 volte, mentre la parola vite ricorre 141 volte. Noè dopo il diluvio universale è il primo uomo a piantare la vite, a bere il vino e a …ubriacarsi.
“Nel Vangelo secondo Marco - prosegue Don Luca Passarini - viene descritto con dovizia di particolari, inusuali per i Vangeli, un agricoltore, che rappresenta Dio, mentre coltiva la vigna. Se ne prende cura, e in questo modo insegna la cura non solo rispetto alla vite ma anche alle persone, alle altre generazioni. Nel pensiero tradizionale della Chiesa il vino è condivisione e non solo perché ci permette di condividere qualcosa con qualcuno. I Padri della Chiesa, tra cui Sant’Agostino, usavano l’immagine del vino per descrivere la Chiesa stessa: essa, infatti, è qualcosa di intimamente unito e gioioso, ma frutto della spremitura di tanti acini diversi per diventare una cosa sola. Nella Celebrazione Eucaristica, per cui per i Cristiani un pezzo di pane diventa il corpo di Dio e il vino sangue, pane e vino richiamano Dio non solo nel momento in cui viene celebrata la Messa, ma sempre, proprio perché ogni volta che bevo un goccio di vino dovrei ricordarmi che quello è dono di Dio, ma anche un invito a farmi a mia volta dono per gli altri. La vita è chiamata ad essere una cosa gioiosa e bisogna saper gioire anche delle piccole cose, come può essere un bicchiere di vino. La bellezza del vino è che rappresenta ciò che c’è di più sacro ma anche di più umano, di festaiolo. E la festa è un elemento fondamentale nella fede cristiana. Il vino è un elemento che ha a che fare con l’ordinario ma anche con lo straordinario”, conclude Don Luca.
Nelle culture antiche del cosiddetto Medio-Oriente è sempre stata presente la coltivazione dell’uva e il consumo di vino, tanto che esistevano divinità a rappresentarlo: Dioniso, Dio della convivialità, per i Greci, Bacco per i Romani. Divinità considerate tanto dannose quanto affascinanti: possono infatti spingere l’uomo alla distruzione oppure elevare il suo spirito ed il suo intelletto a stadi superiori. Nelle religioni orientali il rapporto con il vino è complesso e conflittuale, con modalità e riflessioni anche molto diverse tra loro. Nel taoismo, una religione in cui l’obiettivo è il raggiungimento della perfezione spirituale, per alcune correnti l’uso di alcool è accettato e amato; per altre rappresenta un ostacolo; per altre ancora l’alcol è totalmente proibito. Per tutte però, il rituale funebre della durata di più giorni chiamato Jiao prevede l’offerta di vino. Nel confucianesimo, che più che di una religione si tratta di una ideologia, il vino è servito durante il banchetto di nozze, spesso quello messo da parte al momento della nascita della sposa, e nei funerali, offerto sia al defunto che alla terra. Nel buddismo, il raggiungimento dell’illuminazione è in contraddizione con il consumo di vino, così come di ogni altro alcolico. Vi sono però delle eccezioni, come nel buddhismo tantrico (Tibet) e in alcune correnti nello Sri Lanka. Nell’induismo inizialmente il consumo di vino era proibito a tutti, ma lungo i secoli si è fatta una differenziazione in base alle caste di appartenenza, per cui oggi solo i bramini, che rappresentano la casta più alta, non possono bere alcolici. Nella religione islamica il vino è vietato, nonostante ci sia nel Corano una lode a esso, come dono per l’umanità; viene però specificato che è da evitare a causa dell’abuso che l’uomo ne fa, della sua incapacità di controllarsi e quindi dei danni fisici che produce. Il vino per gli< b>ebrei è un elemento sacro: tutte le manifestazioni religiose ebraiche si svolgono in presenza di un bicchiere di vino, da bere all’inizio e alla fine. Nella Cena Pasquale ci sono quattro bicchieri di vino, rituale che Gesù riprende nell’Ultima Cena. Per la celebrazione del sabato è previsto il vino rosso e servito fino all’orlo.
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