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Senza un cambio di passo l’obiettivo di 50 miliardi di euro in export agroalimentare made in Italy nel 2020 si allontana. E i consumi interni segnano un nuovo stallo (-0,2%). Così i dati della nuova piattaforma “Agrifood Monitor”, by Nomisma e Crif

Sebbene la filiera agroindustriale sia ormai divenuta una componente primaria della bilancia commerciale italiana, con 2 milioni di imprese, 3,8 milioni di addetti, 130 miliardi di euro di valore aggiunto e non meno di 47 miliardi di euro di export, ci sono ancora ampi margini di miglioramento, specie se si considera una concorrenza globale sempre più affilata, una dimensione media delle imprese ancora troppo piccola e strategie di approccio ai mercati esteri nelle quali spesso vige il “liberi tutti”. Non a caso, la crescita dell’export wine & food sta rallentando (+1,7% nel primo trimestre 2016) e questo sposta al 2024 il traguardo dei 50 miliardi di euro di vendite oltreconfine. Un panorama complesso, quindi, nel quale spesso un vantaggio competitivo può essere rappresentato da una visione d’insieme del settore e dei trend in atto: e a colmare questo gap ci hanno pensato Nomisma e Crif (primo gruppo nell’Europa continentale nel settore delle credit information bancarie e uno dei principali operatori a livello internazionale nei servizi integrati di business & commercial information e di credit & marketing management, che serve oltre 3.300 banche e società finanziarie, 44.000 imprese e 167.000 consumatori nel mondo in 50 Paesi) con la creazione di “Agrifood Monitor” (www.agrifoodmonitor.it), una piattaforma dinamica di analisi di dati da diverse fonti.
Il quadro internazionale, al momento, purtroppo non appare favorevolissimo: i negoziati per gli accordi di libero scambio, come quello col Canada denominato Ceta, o il Ttip con gli Usa, sono al palo; il commercio internazionale sta rallentando; sale la pressione concorrenziale da parte di competitor globali; cambiano radicalmente le abitudini e gli stili di consumo dei consumatori occidentali. Dopo un piccolo recupero dei consumi alimentari sul mercato interno (+1,1%) avvenuto nel 2015, i primi 5 mesi del 2016 evidenziano - secondo dati Nielsen - un nuovo stallo (-0,2%). Ed anche sul mercato internazionale il primo trimestre mostra una crescita del nostro export agroalimentare di appena l’1,7%, troppo poco se si vuole arrivare al fatidico traguardo dei 50 miliardi di euro entro il 2020. Senza contare, infine, le problematiche strutturali che connotano il nostro sistema agroindustriale, e che in parte spiegano perché la propensione all’export delle aziende alimentari tedesche è pari al 33% contro il 23% delle nostre. Tutti dati fotografati dalla piattaforma, che è stata presentata oggi a Palazzo di Varignana, a Bologna, con l’obiettivo di offrire alle imprese italiane una bussola completa e aggiornata, oltre a benchmark di immediata comprensione, a supporto dello sviluppo di efficaci strategie di internazionalizzazione e di marketing.
“Se vogliamo arrivare al traguardo dei 50 miliardi di export agroalimentare entro il 2020 dobbiamo affrettare il passo, investendo maggiormente su mercati a più alto tasso di crescita economica come quelli asiatici: le nostre stime ci dicono infatti che, con lo scenario economico attuale, rischiamo di raggiungere l’obiettivo solo nel 2024”, ha dichiarato Andrea Goldstein, managing director di Nomisma. “Dobbiamo aumentare la nostra presenza nei mercati extra-europei - ha puntualizzato - dove oggi il nostro export alimentare pesa per meno della metà di quello francese o addirittura di un ottavo di quello statunitense. Possiamo farcela se riusciamo a combinare la buona reputazione che i nostri prodotti vantano in giro per il mondo con strutture aziendali che promuovano la crescita accelerata”. E una conferma notevole, in questo senso, arriva da un sondaggio presentato oggi a Varignana e svolto sui consumatori di prodotti alimentari degli Emirati Arabi Uniti - un mercato dove la quota dei prodotti italiani è ancora inferiore al 3% delle importazioni alimentari complessive, ma dove il reddito pro-capite dovrebbe passare dagli attuali 40.000 dollari ad oltre 53.000 nel giro di dieci anni. L’indagine di “Agrifood Monitor” ha messo in luce come al made in Italy venga riconosciuta un’elevata qualità, derivante da unicità di gusti e tradizione produttiva, tutti fattori che fanno preferire i prodotti italiani non solo a quelli francesi ma a quelli di tutti i concorrenti. Inoltre - e non è decisamente poco - l’andamento del credito all’export erogato alle imprese della filiera agroindustriale conferma una crescente internazionalizzazione del settore: da un 16% di imprese che utilizzavano finanziamenti all’export nel 2013, si è arrivati oggi al 41%.

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