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“In questo momento storico particolare alcune questioni diventano esistenziali non solo per il pianeta, ma anche per la nostra vita, e una su tutte è mantenere la biodiversità, che non è solo “scientifica”, ma anche “culturale”: dobbiamo saper apprezzare pensieri diversi. Dalla nascita del movimento, 40 anni fa, a quella di Terra Madre e dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (con la nuova rete degli ex studenti che sono già più di 4.000 in 100 Paesi del mondo), 20 anni fa, passando per gli Orti in Africa e l’educazione alimentare dei bambini, il lavoro che abbiamo svolto per difenderla con l’Arca del Gusto ed i Presìdi ha creato un patrimonio che è diventato un’economia parallela. E pur essendo piccole espressioni territoriali, ma diffuse, forti e sentite dalle comunità, i Presìdi hanno per certi aspetti superato il fascino delle denominazioni, indicati dagli abitanti, dalle istituzioni e dai media per dare valore ad un prodotto: legittimano che un prodotto va salvato, che si sta salvando e che ha un ruolo nelle comunità. Ma sono anche l’espressione di una rete che si è mantenuta anche dopo il Covid, che ha piuttosto fortificato il ruolo delle comunità locali come presidio dei territori. In questo 2025 questo patrimonio deve diventare ancora di più motivo di orgoglio, ma anche di conoscenza. In ogni parte del Pianeta c’è una produzione che in alcuni casi da millenni, grazie al clima, alla cultura ed al savoir-faire della popolazione locale, spesso di donne straordinarie, ha mantenuto la sua biodiversità e la sua identità, di fronte all’omologazione dell’industria alimentare e alle sue esigenze quantitative. La biodiversità è un investimento per le future generazioni, e noi abbiamo l’obbligo morale di mantenerla viva”. Lo ha detto Carlo Petrini, fondatore Slow Food, indicando l’indirizzo della Chiocciola per il 2025, insieme alla presidente Slow Food Italia, Barbara Nappini, nel primo degli incontri della “Food to Action Academy”, con cui il più grande movimento mondiale impegnato a ridare giusto valore al cibo buono, pulito e giusto, mette a disposizione le proprie conoscenze per imparare a vivere in modo altrettanto buono, pulito e giusto. Ma si tratta di un indirizzo che va oltre, perché ha detto Petrini, questa visione porterà fino a Terra Madre Salone del Gusto 2026, “focalizzandosi su questa ulteriore sfida, divertente e dialogante con il resto del mondo, più che sull’enorme quantità produttiva che ormai si vede in molti eventi, mentre quando siamo nati noi molti di questi prodotti erano sconosciuti”.
La sociolonguista italiana Vera Geno dice che ogni parola che usiamo è un atto di identità, perché attraverso le parole definiamo anche noi stessi. Il cibo è la parola che ha caratterizzato la nascita, lo sviluppo e che caratterizzerà anche il futuro di Slow Food, la cui militanza “incide sulla vita di milioni di persone - come ricorda Carlo Petrini - perché il cibo è l’elemento centrale della vita di ogni vivente. Ma molte volte è stato confuso con la gourmandise e considerato un divertissement, e il gastronomo è stato visto come una figura quasi spiritosa. Il che non guasta, ma rispetto alla politica ed alla cultura il cibo ha una rilevanza enorme. Con il tempo ci siamo resi conto che non solo è centrale, ma che addirittura è croce e delizia, e che sta generando anche elementi di sofferenza per chi il cibo non ce l’ha, per lo spreco alimentare che sta distruggendo gli ecosistemi, e perché la sua produzione è la principale responsabile della produzione di Co2 e del cambiamento climatico. La centralità del cibo è un elemento di riflessione per l’umanità intera, soprattutto in questa fase storica di guerre e disastri ambientali, in cui la connessione con l’alimentazione diventa diretta, perché un conflitto può generare ricadute alimentari in Paesi che non ci immaginiamo neanche e può generare sofferenze per milioni di persone costrette a migrare, così come avviene per gli effetti del clima per i cosiddetti profughi climatici, costretti ad abbandonare la loro terra diventata invivibile”.
E attorno al cibo buono, pulito e giusto ruotano parole che guidano la filosofia della Chiocciola come “natura”, di cui si parla anche nell’ultimo saggio “La natura bella delle cose” di Barbara Nappini (con la prefazione di Petrini, per Slow Food Editore), nel quale “abbiamo fatto un’umilissima citazione del “De rerum natura” di Lucrezio per il titolo, aggiungendo la parola “bella” perché il libro vuole essere un’esortazione ad avere fiducia nella natura e a non averne paura - spiega Nappini - il cibo è lo strumento attraverso il quale indaghiamo tutto, anche la natura che noi chiamiamo Terra Madre. Nel secolo scorso l’antropocentrismo ci ha fatto sentire lontani dalla natura, quasi al di sopra, tant’è vero che si usava dire “noi salveremo la natura”, mentre oggi è chiarissimo che era una presa di posizione arrogante e presuntuosa, perché sarà lei a salvare noi se la trattiamo meglio, la rispettiamo, non attingiamo e basta, ma la preserviamo, sentendoci parte di un tutto che è più grande di noi, ma che è anche casa nostra e ci include insieme a tante altre creature viventi la cui sopravvivenza dipende dalla natura stessa. Gli ultimi due secoli sono stati connotati da uno sfruttamento scellerato, che ha costruito la grande menzogna dello sviluppo infinito che considerava le risorse naturali infinite. Ma ad averci garantito la sopravvivenza è stato proprio il rapporto dell’uomo con la natura, che abbiamo usato, plasmando i paesaggi e prendendo coscienza di doverla preservare per garantirci la sopravvivenza nei secoli. La nostra esortazione è di recuperare questo rapporto, di tornare a dialogare con la natura, e non di separarci come è avvenuto con lo sviluppo industrializzato che ha causato tantissima sofferenza anche per gli esseri umani”.
Ma ci sono anche “parole fondative” che da sempre guidano la filosofia della Chiocciola, come la tutela e il diritto al piacere: “era questo il sottotitolo del primo Manifesto Slow Food, perché riflettendo con il suo autore, l’indimenticabile Folco Portinari - ricorda Petrini - era questo diverso approccio che ci distingueva dalle altre associazioni gastronomiche. Sarebbe stato un errore vivere una dimensione di militanza e coinvolgimento attorno alle tematiche del cibo, in maniera multidisciplinare ed olistica, perché il cibo è storia, cultura, antropologia, economia, politica, chimica e fisica, senza l’elemento del piacere. Che non è un piacere da ostentare in maniera quantitativa, ma responsabile, e che raggiunge livelli di raffinatezza proprio perché sa essere moderato. Rinunciare al piacere è tipico della politica, di chi veste l’abito del responsabile politico quando deve essere serio e, poi, quando si rilassa, ne indossa un altro. Mentre noi dobbiamo indossare sempre lo stesso vestito nel nostro rapporto con il cibo, e che va bene sia quando diventiamo protagonisti del cambiamento sia nella nostra vita quotidiana. Anche nel libro che ho scritto con Papa Francesco - che mi definisce come un “agnostico pio” perché provo “pietas per la natura”, e a me piace veramente - parliamo del piacere (in “Terrafutura. Dialoghi con Papa Francesco sull’ecologia integrale”, del 2020, ndr). Per il Pontefice il piacere è una delle cose importanti che nostro Signore ci ha dato, e ci ha dato quello vero legato alle uniche due funzioni che mantengono la continuità della specie: mangiare e fare l’amore. Che, detto da un Papa, sembra strano, ma è l’aspetto più bello, e per questo non possiamo avere nei confronti del cibo un atteggiamento schizofrenico, ma il fare buon uso del piacere renderà anche le nostre azioni più credibili. Per la figura del gastronomo militante a fare la differenza è il piacere. E se un ambientalista non è anche gastronomo, e viceversa, consapevole dell’incidenza del sistema alimentare nello sconquasso ambientale che stiamo vivendo, è triste e stupido. L’equilibrio tra conoscenza, responsabilità e piacere è una delle cose più belle della militanza di Slow Food”.
Gestire il piacere vuol dire avere “coscienza”, che è l’altra parola sui cui riflette Slow Food attorno al cibo. Anche Federico Faggin, il fisico italiano inventore dell’Intel 4004, il primo microprocessore al mondo, senza il quale, come dice Bill Gates, la Silicon Valley sarebbe solo una valley, e non avremmo pc, smartphone o tablet (e che anche WineNews ha incontrato all’ultimo Terra Madre Salone del Gusto, a Torino, nel 2024 ), ad un certo punto, dopo una vita improntata tutta sulla tecnologia, si è rimesso in discussione perché non era felice, nonostante avesse tutto ciò che nella nostra società è considerato desiderabile a partire da una bella famiglia e dalla ricchezza, ed ha iniziaito ad indagare la coscienza attraverso la fisica quantistica. “Con la coscienza si arriva anche al cibo, perché secondo Faggin la coscienza “connette” tutto - spiega Nappini - e poiché viviamo in una società fortemente materialista e scontenta, avere coscienza e consapevolezza del piacere è un pensiero molto moderno, che ci permette di uscire dalla retorica del sacrificio che ci fa fare le cose perché è giusto, anche per gli altri, quando invece sono fatte bene solo se alla base se c’è anche il piacere di farle per noi stessi, prima ancora che per il pianeta e per il prossimo. Un piacere non goliardico, ma “culturale”, e che ci fa passare dalla condizione passiva di essere solo dei consumatori di merce, ad essere coscienti del nostro agire e dunque creatori e creativi, e a dare valore a ciò che ci circonda”.
Infine, per Slow Food, c’è una parola che potrà davvero fare la differenza nel 2025. “Credo sia molto importante il “tempo” e lasciarci del tempo - conclude Barbara Nappini - Carlo già 40 anni fa individuò nel tempo un elemento politico, oltre che nel cibo: ci chiamiamo Slow Food non solo perché bisogna masticare a lungo, ma per il tempo che ognuno di noi deve prendersi nella nostra vita, che non deve rispondere solo ai tempi industriali, ma a quelli umani. All’“altare dei tempi” abbiamo sacrificato tantissimo, e io auspico, sia a livello individuale che collettivo, che riusciremo a concederci del tempo per pensare e fare pensieri che ci portino in luoghi nuovi da quelli che normalmente frequentiamo, e di dar tempo alla coscienza di dare un significato alle cose”.
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