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S.O.S. MANODOPERA IN VITICOLTURA: MANCA IL RICAMBIO GENERAZIONALE TRA LAVORATORI “AUTOCTONI” E NEPPURE GLI STUDENTI SONO PIÙ DISPOSTI A FARE LA VENDEMMIA. A LAVORARE NEL VIGNETO NON RESTANO CHE GLI IMMIGRATI

Il grido d’allarme percorre l’intera Italia enoica, dalle Alpi alla Sicilia: i vecchi contadini progressivamente lasciano i vigneti per andare in pensione, mentre le nuove generazioni mostrano di non amare per nulla il lavoro in campagna e neppure gli studenti sono più disposti a fare una vendemmia. Risultato: la manodopera impiegata in viticoltura scarseggia sempre di più. Tutti siamo abituati a vedere schiere di giovani studenti o arzilli vecchietti intenti nella raccolta delle uve, ma questa immagine è destinata ben presto a scomparire dall’iconografia classica della viticoltura del Belpaese. Un fenomeno antropologico, rilevato dal sito www.winenews.it, uno dei più cliccati dagli enonauti sul web, materia di studio per i sociologi del lavoro, ma, soprattutto, un vero e proprio problema per il comparto vitivinicolo sempre più sollecitato dalla concorrenza globale e in fase di profondo mutamento fin negli stessi rapporti e forme di lavoro. Se ne parlerà a Vinitaly (Verona, 3/7 aprile), la più importante kermesse dell’enologia nazionale.

Un po’ per colpa dell’elevata età media dei contadini “autoctoni”, destinati a non avere un adeguato avvicendamento, un po’ per colpa di un’endemica perdita di interesse da parte delle nuove generazioni verso il lavoro in campagna, duro e generalmente mal pagato, fatto sta che il cosiddetto settore primario del comparto vitivinicolo italiano è quasi esclusivamente sostenuto dalla manodopera extracomunitaria o proveniente dai Paesi dell’Europa dell’Est, ed entrerebbe in crisi senza questo decisivo contributo.

Un bacino di manodopera solido, quello dei lavoratori immigrati, che rappresenta senza dubbio il “grosso” della forza-lavoro delle aziende vitivinicole italiane, ma che rischia anch’esso, in futuro, di non restare più una sicurezza. I motivi possono essere vari: dal richiamo economico di altri settori, che offrono spesso una maggiore remunerazione per un lavoro magari meno gravoso, alla volontà del lavoratore di intraprendere un attività in proprio nel Paese d’origine. Specie nei momenti caldi della stagione, quando la viticoltura richiede enormi sforzi in termini di ore lavorative, come nel caso, per esempio, della potatura dei mesi invernali, o di quella verde da maggio a luglio, o in occasione della fatidica vendemmia di settembre-ottobre, già si sono visti i contorni di una nuova emergenza.

Le aziende vitivinicole hanno reagito affidandosi sempre di più a società che gestiscono squadre nei periodi di lavoro più intenso, ma questa non è certo la soluzione ad un problema più complesso. Anche la progressiva razionalizzazione dei vigneti, l’impiego di macchine sempre più efficienti, come, per esempio, le moderne vendemmiatrici, non possono risolvere interamente il problema. La mano dell’uomo, infatti, resta insostituibile per alcune e fondamentali operazioni di gestione del vigneto, come, per esempio, la selezione dei grappoli prima della raccolta, o, ancora, la piegatura dei cordoni speronati delle giovani viti.

Ma reperire lavoratori al di fuori dei circuiti locali, conosciuti e collaudati, pone una questione centrale: la formazione. I lavori richiesti dalla moderna viticoltura di qualità esigono l’applicazione costante di tecnologie e metodi di coltivazioni moderni (dalla ferti-irrigazione alla lotta biologica, dalla selezione dei grappoli migliori alla guida delle moderne macchine “scavallanti” ...), che richiedono una buona preparazione anche della manodopera stagionale per mantenere la qualità dei prodotti a livello d’eccellenza, come vuole oggi il mercato. Riuscire a formare il personale affinché possa svolgere al meglio il proprio lavoro è un impegno che occupa tempo e risorse, con il rischio di formare un lavoratore che magari lavorerà in azienda per una stagione soltanto, costringendo l’imprenditore a ripetere daccapo il percorso formativo la stagione successiva.

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