“La sostenibilità e le sue pratiche non devono essere una “religione”, ma uno strumento che i produttori devono usare con intelligenza. Con scelte che non possono essere fatte sempre “a priori”, ma anche a seconda dell’annata e del territorio, perché magari in Sicilia fare “biodinamico” è più facile che in Friuli Venezia Giulia, perché piove molto meno, per esempio. Ma in generale ritengo che non si può seguire ciecamente un metodo, per esempio il biodinamico, quando magari c’è il rischio di perdere tutto il raccolto e il prodotto. Considerando che il vino “naturale” tout court non esiste, perché c’è sempre l’intervento dell’uomo. E che la qualità del vino, al di là delle filosofie produttive, sia sempre la cosa più importante”.
Così Antonio Galloni, uno dei palati più autorevoli del mondo e fondatore di “Vinous” (www.vinousmedia.com), protagonista nel convegno “Vino: sostenibilità e mercati”, di scena oggi a Roma, in Confagricoltura, una delle organizzazioni agricole più importanti d’Italia, in un dibattito a cui hanno contribuito anche produttori del calibro di Piero Antinori, Chiara Lungarotti, Marcello Lunelli (Cantine Ferrari e Unione Italiana Vini), Giovanni Manetti (Fontodi), Valentino Mercati (fondatore del gruppo agri-farmaceutico aretino Aboca) e Giuseppe Liberatore, in veste di vicepresidente di Federdoc, coordinati da Davide Gaeta, docente di Economia dell’Impresa e Politica Vitivinicola all’Università di Verona. Da cui sono emersi molti spunti, su un tema senza confini ben definiti, com’è quello della sostenibilità, che deve essere uno stile di vita contagioso, nell’interesse primario dei produttori, e la cui adozione deve essere anche certificata, in qualche modo, per essere raccontata ai consumatori, ma senza eccessi di burocrazia o di sigle ed enti certificatori.
Per esempio, secondo Piero Antinori, alla guida di una delle realtà del vino italiano, “con secoli di storia alle spalle ma che guarda al futuro, e che per questo deve necessariamente pensare ad essere sostenibile, nel rispetto dell’ambiente, della gestione dell’acqua e così via, perché la conservazione, ma anche il miglioramento dell’ambiente in cui lavoriamo è fondamentale per noi”, spiega. Aggiungendo che “non c’è però sostenibilità di nessun tipo senza sostenibilità economica, fondamentale anche per adempiere a quel senso di “responsabilità sociale di impresa” a cui ogni azienda seria deve rispondere. Noi per parte nostra abbiamo messo in piedi collaborazioni in ricerca sul tema con le Università di Firenze, Pisa, Bologna e della Tuscia, facciamo parte del programma “Vi.Va” del Ministero delle Politiche agricole e così via. Certo, le certificazioni di enti ed istituzioni sono importanti, ma quello che conta è la sensibilizzazione profonda al tema della sostenibilità. Come fondamentale è lo scambio di informazioni ed il confronto orizzontale tra produttori, fare azioni collettive, e quindi va superato l’individualismo che è storicamente caratteristica degli italiani, anche attraverso consorzi, associazioni e così via, e forse con le nuove generazioni, qualcosa si sta muovendo, siamo sulla buona strada”.
“Per me è fondamentale fare un vino che rispecchi il territorio - aggiunge Chiara Lungarotti, alla guida di una delle cantine più importanti dell’Umbria e consigliere di Federvini - e farlo nell’ottica della sostenibilità è bellissimo, è uno stile di vita che si riflette nel vino. Ma è importante poi trasmettere al mercato, che lo richiede sempre di più, la conoscenza di quelle che sono le pratiche sostenibili di un’azienda. A questo servono le certificazioni, che però devono essere accompagnate dalla comunicazione delle aziende, individualmente ma anche di concerto con altri produttori”.
“Essenziale il connubio di sostenibilità ambientale ed economica - ribadisce Giuseppe Liberatore, vicepresidente di Federdoc e presidente Aicig - perché senza la seconda non c’è nessuna altra sostenibilità possibile. Oltre a produrre il “prodotto”, il concetto di sostenibilità esprime rispetto per ambiente, esprime il rispetto della vita degli agricoltori, ed è fondamentale che sia un concetto “di territorio”. Perché ogni Denominazione, ogni territorio che noi esprimiamo nel mondo, ormai, non si distingue solo per la qualità dei suoi prodotti, ma anche per le buone pratiche che lo governano. Ma il concetto di sostenibilità non deve servire solo a riempirsi la bocca, va circoscritto, sostanziato e certificato, tradotto in dati e percorsi oggettivi inattaccabili. Il regolamento Ue sul vino biologico forse è nato troppo a maglie larghe, poco incisivo nel segnare una rotta, ma è stato un inizio. Oggi so che in commissione Agricoltura di Camera e Senato si lavora ad un progetto di legge sui biodistretti, e può essere un passo decisivo”.
E un biodistretto del vino, in qualche modo, esiste già, ed è quello di Greve in Chianti, nel cuore del Chianti Classico, come racconta Giovanni Manetti, alla guida della griffe Fontodi e vicepresidente del Consorzio del Chianti Classico. “È un progetto nato nel 2005, e che ha coinvolto più realtà e aziende, perché insieme si lavora e si cresce meglio. Siamo passati dal 30% al 95% di superficie vitata biologica, ma pian piano abbiamo coinvolto l’amministrazione pubblica e altri produttori di prodotti tipici, sensibilizzando il territorio a diversi livelli. E per esempio abbiamo bloccato la costruzione di un inceneritore, che mal si sposa con la sostenibilità, abbiamo fatto vietare l’utilizzo di diserbati chimici lungo le strade e nei giardini privati e così via. La sostenibilità deve essere “contagiosa””.
Ma, in ogni caso, serve una definizione di ciò che è “sostenibile”, servono “dei punti fermi da cui partire sia per i produttori che i consumatori - aggiunge Marcello Lunelli, delle Cantine Ferrari, tra le realtà più prestigiose della spumantistica italiana e consigliere di Unione Italiana Vini - e questa è la vera sfida, perché è difficile mettere tutti d’accordo su questi concetti. Ma quello che è importante è che i produttori di vino prendano in mano il processo normativo, che partecipino a costruirlo, e non a subirlo, come è successo con una lunga serie di protocolli negli ultimi anni, e questo sarà nel futuro prossimo uno degli impegni più importanti di Unione italiana vini. E, in questo senso, la strada dei “biodistretti” può essere quella giusta”.
Focus - Antinori dalla tavola rotonda di Foragri: “consumo mondiale vino in aumento fino al 2018”
Piero Antinori, patron della Marchesi Antinori, e presidente dell’Istituto del vino Grandi Marchi, che associa 19 grandi aziende vitivinicole da Nord a Sud, guarda con ottimismo al Vinitaly, che torna dal 22 al 25 marzo a Verona (www.vinitaly.com), perché “finalmente si apre con la prospettiva di un equilibrio a livello mondiale tra consumi e produzione. Globalmente, da qui al 2018 - spiega Antinori - i consumi di vino sono in aumento, anche se in misura limitata. Il segno è comunque in positivo su scala planetaria, e in prospettiva si va verso l’equilibrio tra domanda e offerta. Una novità che dona un respiro di sollievo ai produttori, afflitti da anni da eccedenze in cantina”.
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