I vini di domani non solo dovranno essere sostenibili, come ormai richiedono i consumatori di tutto il mondo, ma per rispondere agli imperativi del mercato globale dovranno puntare sulla longevità. In tempi in cui per il vino italiano l’export è la via maestra, a fronte di consumi che diminuiscono, si dilatano gli spazi del consumo e i tempi di arrivo sui mercati lontani. Far durare più a lungo la piacevolezza del vino, bianco in particolare, è dunque una esigenza, ma anche una sfida. È uno degli argomenti che emergono dal Merano Wine Festival (dal 9 al 13 novembre), nel cuore dell’Alto Adige, terra d’eccellenza di grandi vini bianchi, a Naturae et Purae.
“Questa sfida è oggi ancor più difficile - sottolinea Umberto Marchiori, enologo e agronomo di Uva Sapiens, un dottorato di ricerca sulle dinamiche evolutive dei vini bianchi - perché non è possibile aumentare l’uso di sostanze conservanti per produrre vini sempre più salubri e a minor gradazione alcolica. I risultati che ho ottenuto dimostrano che sulla longevità non incidono solo l’annata e le chiusure, ma ad avere un ruolo determinante sono bucce e lieviti”.
Dunque la strada per la longevità parte dal vigneto e si consolida in cantina. Ne è convinto anche Hans Terzer, winemaker della Cantina di San Michele Appiano, una delle più importanti e celebrate del territorio, “perché - dice - la longevità parte da una grande uva, in cantina dobbiamo solo fare più selezione e controllare le temperature, l’unica tecnica enologica irrinunciabile”.
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