Stupire con effetti speciali o preparare piatti buoni e riconoscibili? Sembra essere questo il dilemma che attanaglia oggi la grande cucina, italiana e internazionale, divisa tra chi predica l’uso geniale e innovativo di sifoni, azoto liquido, destrutturazioni, e chi invece rivendica la tradizione, l’attenzione spasmodica alle materie prime e alla corretta tecnica di preparazione di un piatto.
La querelle si rimpalla ogni volta che i grandi chef si incontrano in consesso: ultimo in ordine di tempo Identità Golose a Milano, mentre il prossimo appuntamento che riunisce super-cuochi di tutte le latitudini è fissato per il 20 e 21 febbraio a Le Havre, con Omnivore (www.omnivore.fr). Presenti tra gli altri Ferran Adrià, Alain Ducasse, Fulvio Pierangelini, Davide Scabin. Se gli innovatori sono accusati di eccedere nel virtuosismo, allontanandosi dai gusti e dalle richieste dei clienti “normali” e riducendosi a cucinare per un’elite di gourmet, i tradizionalisti corrono il rischio di riproporre sempre gli stessi sapori, senza progredire e senza andare avanti.
Ma queste due “anime” della cucina possono felicemente continuare a convivere, anche perché in tutti i campi della creatività esistono da sempre le avanguardie, il cui scopo è “rompere” con il passato creando innovazione e facendo scuola, destinate ad essere denigrate o copiate a secondo dei tempi e delle mode. In fondo, come scrive il noto giornalista enogastronomico Enzo Vizzari su Repubblica, l’unico metro valido di valutazione è quello del “buono e sano”: chi va al ristorante deve “riporre ogni pregiudizio, e valutare ogni locale, ogni cuoco, ogni piatto per il grado di “sano piacere” che essi procurano. Il resto, sono chiacchiere per addetti ai lavori”.
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