È il 1990, siamo nel Rhode Island, Stati Uniti. Neil Empson è in visita alla famiglia della moglie Maria, italo-americana. Una bambina, Tara, è in affido temporaneo alla cognata ed è Maria che un giorno la va a prendere a scuola. Tara le sale in braccio, le appoggia la testa sulla spalla e le dice “I love you”. Nessuno può ancora immaginarlo, ma quel giorno incomincia una storia familiare da “libro Cuore” che si intreccia a filo doppio con quella di un’azienda che ha contribuito - e contribuisce tuttora - a fare la storia del vino italiano all’estero.
Che cosa succede? Di fronte a una manifestazione d’amore così spontanea e inattesa, Maria - che non ha figli - si commuove e decide con Neil di adottarla. Il giudice dà il consenso. All’epoca ha quattro anni e mezzo, è ancora troppo piccola per capire chi siano i suoi genitori ed è ancora troppo presto per sapere che un giorno avrebbe preso in mano le redini di un piccolo impero nel vino italiano.
Ma riavvolgiamo il nastro e andiamo alla fine degli Anni Sessanta. Neil è un giovin signore neozelandese appassionato di auto d’epoca, in particolar modo Ferrari. Per questo motivo frequenta spesso l’Italia e qui viene esattamente cinquanta anni fa, nel 1969, in luna di miele con Maria. Destinazione Portofino. “Non immaginavo un’Italia così bella anche nel cibo e nel vino”, racconta Neil a WineNews in un’intervista rilasciata assieme a Tara in una storica pasticceria di Milano.
“Conoscevo soltanto i vini francesi, ma ho subito amato i il Barolo, il Barbaresco e i toscani. Negli Stati Uniti si conoscevano soltanto il Chianti e il Lambrusco. Così sono andato alla scoperta delle cantine e ho visto un grande spazio per i vini italiani nel mercato americano”.
Neil e Maria vivono in Italia perché lei studia all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Ma gli amici gli dicono: “Vai a Milano, è quella la città del business”. Detto, fatto. Neil e Maria si trasferiscono in affitto in via Mosè Bianchi ed è nella portineria del palazzo, nel 1972, che la Empson spa vede la luce. Il business funziona: i fax con gli ordini arrivano e una vicina di casa, Leida, che aiuta Maria con l’italiano scritto a rispondere in modo corretto, diventerà una colonna portante dell’azienda. “Non so come descrivere l’importanza di Leida, che è anche la mia madrina”, dice Tara. “Per l’azienda è stata la persona dietro le quinte che ha avuto un ruolo fondamentale: quando i miei viaggiavano era lei a tenere in piedi la fortezza”.
Le prime cantine esportate negli Stati Uniti hanno nomi quali Gaja (e Angelo Gaja qualche mese fa sedeva accanto a Neil a Milano nella cena per i suoi 80 anni con decine di altri produttori), Einaudi, Conterno Fantino, Jermann, Biondi Santi e altri grandi vini toscani che sarebbero poi stati chiamati da Neil, per caso, “Supertuscan”: un termine diventato icona.
Neil è un pioniere e diventa un commerciante. Ma crede che il lavoro si basi anche sui rapporti umani. Per svilupparli gira l’Italia per incontrare personalmente i produttori. “Non mi doveva piacere soltanto il loro vino - dice - ma anche le persone”. Tara è sempre con i genitori, li segue per le cantine e i vigneti, è una bambina curiosa. “Non volevano che stessi con le baby-sitter - ricorda - così ho viaggiato assieme a loro e ho avuto modo di conoscere i produttori, che per me oggi sono come fratelli”.BR>
Nel frattempo la Empson cresce, si trasferisce in una intera palazzina in via Romolo Gessi a Milano, apre gli uffici di Washington e di Calgary, e arriva ad avere in portafoglio 40-45 vini che esporta in 28 Paesi del mondo.
In questi anni Neil e Maria crescono non soltanto una figlia, ma anche - e questo forse non intenzionalmente - l’erede della loro azienda. Preparata, competente, ma anche empatica, capace di costruire in modo spontaneo relazioni umane: Tara quando parla dei suoi genitori o della loro attività ha gli occhi che brillano e presto il suo talento e la sua passione entrano in azienda. Prima prende in mano la società in America e, dal 2 aprile scorso, è alla guida di tutto. Neil, che ha da poco compiuto 80 anni, fa un passo indietro e Tara diventa Ceo. Il passaggio del testimone è nel segno della continuità, ma anche in quello del cambiamento per adattarsi al nuovo mondo dei vini e della ristorazione. E Tara, che ha 33 anni, con le nuove generazioni di giovani ristoratori e di winemaker parla la loro stessa lingua da Millennial.
“Sin dall’inizio - spiega Tara - abbiamo scelto la fascia alta e quella rimane la nostra identità, dobbiamo rimanere costanti e coerenti. Ma il mercato è cambiato e il nostro lavoro oggi non sta tanto nel posizionamento del prodotto quanto nel suo mantenimento”. Tradotto: fare arrivare un vino in un ristorante non è molto difficile; ma farlo restare sulla lista dei vini sì. “Il mondo della ristorazione è diverso - osserva Tara - e sono rari i locali con la cucina molto francese, la tovaglia bianca e una carta dei vini che sembra un libro. Oggi i giovani ristoratori sono più easy, non vogliono scorte di magazzino e fanno una selezione molto ristretta. Non acquistano tante casse, ma il minimo indispensabile per non essere vincolati e avere più libertà di cambiare. Questo fa parte nel modo di pensare della mia generazione”.
Come fare, quindi, per restare sulla lista? “I produttori devono tenere alta la qualità e non smettere di comunicare il prodotto e la storia per rendere una bottiglia unica e non anonima. E noi dobbiamo accompagnarli in questo racconto, non possiamo più limitarci a essere meri esportatori”.
Tara da qualche settimana si è trasferita a Washington per creare un contatto maggiore a livello culturale e a livello di procedura interna tra gli uffici, ma anche per essere più reattiva nel rispondere ai clienti americani. L’obiettivo è quello di presidiare il mercato, ma anche di espandersi. La ricerca di nuovi produttori prosegue in Val d’Aosta, in Piemonte nelle zone di Ghemme e di Gattinara, e delle isole che tanto piacciono a Tara. Il Vermentino di Gallura e la zona di Porto Pino in Sardegna, mentre in Sicilia guarda con interesse al successo dell’Etna. “Ma - chiude rivelando una policy aziendale - abbiamo già alcuni clienti e non vogliamo metterli in competizione”.
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