
Tra le falde dell’Etna e la valle dell’Alcantara, c’è un anfiteatro naturale tra i filari dei vigneti dove nascono i vini del vulcano, il cui proscenio è ricavato tra quelli che un tempo erano i terrazzamenti per la coltivazione della vite e che, come quinte, ha le montagne, la lava e pini secolari. Non è un sogno, ma quasi, il primo “Teatro in Vigna” della Cantina Sciaranuova di Planeta, a Passopisciaro, dove, dal 26 luglio al 2 agosto, va in scena lo “Sciaranuova Festival” 2025, all’edizione n. 9, dedicata ai “Piani Inclinati”.
Di questi tempi che si stenta a trovare un sentiero tra incertezze, contraddizioni e rarissimi punti fermi, “Piani Inclinati” è un’espressione che evoca traiettorie oblique, scivolamenti inaspettati e delicate instabilità, ideali per raccontare un’edizione dello “Sciaranuova Festival” che invita a esplorare nuove prospettive attraverso il teatro, la musica e la parola, ed a lasciarsi trasportare per percorrere sentieri obliqui tra arte e pensiero, nel paesaggio unico della cantina sul vulcano di Planeta, tra le griffe artefici del “rinascimento” della Sicilia del vino, pioniera nell’investire in cultura per promuovere lo sviluppo dei territori in cui nascono i suoi vini, e che ogni anno organizza anche “Viaggio in Sicilia”, tra le prime residenze d’artista tra i vigneti italiani con installazioni site-specif di arte contemporanea, e che, recentemente, ha riunito sull’isola una comunità di opinion leader di diversi settori del made in Italy (tra cui anche WineNews, ndr) per lanciare il “Manifesto di Noto” del vino contemporaneo.
Il leitmotiv che attraversa l’intero cartellone è la musica, e una tastiera, sia essa synth, classica o da cabaret, compare in tutti gli spettacoli. Il festival si apre con “La Meraviglia” di Sonia Antinori (26 luglio), una storia di scienza che si perde nella leggenda e nel mito, anzi, sta proprio al crocevia tra pensiero illuminista e pensiero magico, riportando, infatti, al secolo dei Lumi, alla scoperta di una pietra fosforescente e forse filosofale. Si prosegue poi con “Degenerata” di e con Ernesto Tomasini (1 agosto), un salto nel cabaret dei folli e sperimentali Anni Trenta, come simbolo ed espressione massima di società sfrenate ed effervescenti, tanto che c’è chi interpreta le successive svolte autoritarie fascista e nazista proprio come una reazione e un ritorno all’ordine dopo l’ubriacatura degli “anni del cabaret”. Infine, arriva Ivan Talarico, voce di Radio3 (2 agosto), che rilegge e reinterpreta grandi e piccoli autori, musica leggera e non.
Racconta Ottavia Casagrande, direttrice artistica del Festival (in un articolo a sua firma sul prestigioso “Domenicale” de “Il Sole 24 Ore”): “il grande pregio del nostro festival sta nello spingere gli spettatori fuori casa - di questi tempi, atto già di per sé sovversivo - verso territori nuovi e inesplorati, dando loro appuntamento, al tramonto, in un punto meraviglioso e selvaggio. Li raduna in un anfiteatro immerso nella natura a bere vino e assistere a uno spettacolo. Siamo in luogo in cui, quando cala, il buio è totale, senza una luce a parte i fasci dei proiettori che si accendono sul palco. Un luogo in cui tutto sembra svolgersi esattamente come accadeva nei tempi antichi, per dar vita ad un rito collettivo. Non riesco ad immaginare niente di più profondamente dionisiaco”. E mentre, sullo sfondo, nell’installazione luminosa al neon “Ettore Majorana”, opera site specif di Claire Fontaine, si legge una frase del romanzo di Leonardo Sciascia dedicato al fisico scomparso misteriosamente nel 1938, e che trascorreva le estati proprio vicino a questo luogo, del quale l’artista sottolinea il legame tra arte, scienza e territorio: “si divertiva a versar per terra e disperdere l’acqua della scienza sotto gli occhi di coloro che ne erano assetati”.
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