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TECNOLOGIA E SOSTENIBILITÀ

Trasformare gli scarti in risorsa? Si può grazie a batteri e a celle elettromicrobiche

L’innovazione del progetto Ager Wine Waste Integrated Biorefiner e gli sviluppi possibili per la filiera del vino
SCARTI, SOSTENIBILITA, TECNOLOGIA, vino, Italia
Ottenere energia dagli scarti della filiera del vino, il progetto l progetto Ager Wine Waste Integrated Biorefiner

“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”: questo verso di una famosa canzone di Fabrizio De André ben si adatta a descrivere gli obiettivi del Progetto Ager Wine Waste Integrated Biorefinery: produrre dai sottoprodotti della filiera vitivinicola molecole nobili ed energia, per giunta abbattendo il carico inquinante di ciò che resta. Insomma la sostanza organica - il letame nella citazione di Faber, raspi, vinacce, fecce e acque di lavaggio nel caso dell’azienda vitivinicola - si può trasformare da scarto a risorsa grazie alla bioraffineria. L’innovazione, però, per arrivare al mondo produttivo deve essere diffusa e così hanno fatto Barbara Mecheri e Alessandra D’Epifanio del Dipartimento di chimica dell’Università di Roma “Tor Vergata” in due incontri molto partecipati a Soave (Verona) e a Poggibonsi (Siena), organizzati in collaborazione con le Donne della Vite. Le due ricercatrici hanno presentato agli stakeholder i risultati di BioVale, finanziato dalla Fondazione AGER-Agricoltura e Ricerca, e in particolare le potenzialità dei sistemi biolettrochimici (Bes) e i risultati ottenuti nella messa a punto e nella valutazione di una cella elettromicrobica Mfc (microbial fuel cell) e Mec (microbial electrolysis cell) in grado di utilizzare fecce e acque reflue delle cantine per la produzione di energia elettrica o di idrogeno in modo diretto, pulito ed efficiente, sfruttando l’attività dei microorganismi presenti negli scarti stessi.
Con la tecnologia Bes, che nasce dall’esperienza già consolidata delle celle a combustibile, si può recuperare energia da acque reflue urbane, scarti di oleifici, birrifici e cantine e al contempo ridurne la carica organica e inquinante e con essa la necessità e i costi di depurazione. Vi è un ampio margine di miglioramento e a tale scopo è fondamentale passare dalla scala di laboratorio al mondo “reale” per definirne rese e prestazioni su prototipi già ingegnerizzati come già si sta facendo in altri Paesi del mondo, dal Regno Unito, agli Usa, l’Australia e la Cina.
Il sasso è lanciato, adesso occorre uno sguardo visionario, cantine, costruttori e amministrazioni pubbliche che raccolgano la sfida e ne vogliano cogliere non solo i benefici economici e ambientali, ma anche il ritorno di immagine legato all’impegno per la sostenibilità.

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