Il Marchese del vino, uno degli artefici del “Rinascimento” del vino italiano, “Piero Il Magnifico”: sembrano non bastare mai le parole per descrivere Piero Antinori, presidente onorario di Marchesi Antinori, marchio del vino italiano più ammirato al mondo, figura di riferimento che fatto la storia dell’enologia mondiale, rivoluzionandola nel rispetto delle tradizioni e con lo sguardo sempre al futuro, con vini-icona come il Tignanello, che celebra 50 anni dalla prima annata e, per festeggiare il quale, il Marchese ha voluto contribuire nientemeno che al primo restauro della storia di Ponte Vecchio, simbolo di Firenze, a cui la sua famiglia è legata sin dal Trecento. Ieri sera al Teatro Ristori di Verona, tutti i produttori più rappresentativi dell’eccellenza vitivinicola italiana, riuniti nel Comitato Grandi Cru d’Italia, del quale è stato il primo presidente, gli hanno dedicato un tributo di lodi e riconoscenza per quanto realizzato per tutto il settore. “Ho cominciato ad occuparmi dell’azienda nel 1966 - ha dichiarato Piero Antinori - certamente è stata una responsabilità, ma non un peso: considerando la storia così lunga della famiglia (700 anni e 26 generazioni, ndr) non mi sono considerato un titolare, ma un custode, con la responsabilità di portare un contributo e di passare l’azienda alla generazione successiva, in condizioni migliori”.
Ad accoglierlo quasi trecento ospiti - tra giornalisti, operatori nazionali e internazionali ed istituzioni - insieme a Valentina Argiolas e Paolo Panerai, presidente e vicepresidente esecutivo del Comitato Grandi Cru d’Italia, che riunisce i produttori più rappresentativi dell’eccellenza vinicola del Paese, ovvero quelle aziende che da almeno 20 anni producono vini con i più alti rating risultanti dall’incrocio delle principali e più autorevoli guide e riviste italiane e straniere. Sono stati loro a consegnare ad Antinori, a nome di tutti i soci, il Premio Grandi Cru d’Italia, come segno di stima e gratitudine per l’ispirazione e l’esempio dato a tutto il comparto vinicolo italiano.
Piero Antinori ha rivoluzionato il panorama vinicolo internazionale nel rispetto delle tradizioni e con lo sguardo sempre rivolto al futuro: guidato dalle domande di Luciano Ferraro (vicedirettore Corriere della Sera), di Jeannie Cho Lee (founder Asian Palate) e di Jancis Robinson (founder JancisRobinson.com e wine correspondent Financial Times) ha esplorato la sua storia, dalla nascita della cantina, nel Rinascimento, alla rivoluzione provocata e affrontata negli ultimi decenni del Novecento, allo sbarco in America e alle sfide future. “Di questi quasi 56 anni di lavoro - ha affermato il Marchese Piero Antinori - la cosa di cui sono più orgoglioso è la trasformazione della nostra azienda. Oggi siamo diventati un’azienda agricola al 100%. Tutti i nostri vini sono prodotti da uve dei nostri vigneti. È stata una trasformazione molto impegnativa, non solo da un punto di vista finanziario, ma anche a livello personale, e che ha visto coinvolti tutti i nostri collaboratori, in particolare Renzo Cotarella, che devo ringraziare”. Interrogato su che consiglio darebbe al suo giovane sé ha detto: “darei il consiglio che mi diede mio padre, che è stato un mio grandissimo maestro. Per diventare un buon imprenditore ci vogliono competenza, coraggio e modestia. Aggiungerei una grande passione per quello che si fa e per il prodotto che si produce”. Sollecitato sulle esperienze fuori dall’Italia, Antinori ha dichiarato: “da molto tempo sono convinto che poter avere un’esperienza diretta, fuori dall’Italia, dia un valore aggiunto all’azienda, un vantaggio competitivo e consenta di capire meglio la realtà internazionale e i mercati. In Napa Valley abbiamo iniziato a operare nel 1985, acquisendone la totalità negli anni. Siamo l’unica azienda vinicola italiana in quella zona, ormai considerata tra le migliori del mondo per produrre grandi vini. Questo ci dà una responsabilità, ma è anche un motivo per noi di grande orgoglio”.
Ma cos’è un grande vino, per Piero Antinori? “É un vino che prima di tutto ha personalità, poi deve essere capace di dare un piacere edonistico a chi lo beve, ma anche un piacere intellettuale, perché il vino è un fatto di cultura. Inoltre un grande vino deve essere anche capace di invecchiare, migliorando nel tempo.
Parlando della sua storia, Piero Antinori ha affermato: “ho sempre avuto la passione per il volo e ce l’ho tuttora, un pò per controllare i nostri vigneti, ma anche per vedere cosa fanno i nostri concorrenti, con l’elicottero è facile… ma non è mai stata la mia ambizione diventare un aviatore professionista, anche perché fin da piccolo, quando mi chiedevano cosa avrei fatto da grande, io rispondevo sempre che avrei fatto il produttore di vino. Ho cominciato, da un punto di vista della responsabilità in azienda, nel 1966, a 28 anni, quando mio padre inaspettatamente mi disse “ora è il tuo turno”. Io non me l’aspettavo, mi impressionò un pò, ma l’accettai volentieri. Certamente è stata una responsabilità, ma non un peso: considerando la storia così lunga della famiglia non mi sono considerato un titolare, ma un custode, con la responsabilità di portare un contributo e di passare l’azienda alla generazione successiva, in condizioni migliori”.
“La mia prima annata, il 1967, è stata ottima, ho avuto fortuna - continua Piero Antinori - per merito di madre natura ho fatto un ottimo vino, e questo mi ha incoraggiato. L’agricoltura toscana stava attraversando un momento di grande crisi economica, finanziaria e qualitativa del prodotto, dovuta anche ad una trasformazione affrettata e un pò superficiale dei vigneti, a seguito dell’eliminazione della mezzadria, e questo aveva portato ad un decremento della qualità. La prima cosa che ho voluto fare è stata lavorare sulla qualità dei nostri prodotti. In questo sono stato aiutato da un grandissimo personaggio del vino: Émile Peynaud, professore all’Università di Bordeaux. Lui venne a trovarci e capì il nostro problema, ma anche il potenziale per migliorare, e aiutò il nostro enologo dell’epoca, Giacomo Tachis, che in un certo senso era un suo allievo. Fu anche grazie al suo contributo che nacque il Tignanello. All’inizio fu un vino po’ controverso, perché uscì come vino da tavola, in un momento in cui si facevano strada le denominazioni di origine. Fu quindi oggetto di qualche critica e osservazione, ma sia a livello nazionale che internazionale destò l’interesse di appassionati e giornalisti: e alla fine ha rappresentato l’inizio della nuova era vinicola italiana”.
Parlando della successione, Piero Antinori racconta che “quando le mie figlie, che sono tre femmine, erano molto piccole, ho avuto qualche dubbio che ci potesse essere una continuità familiare, quindi ovviamente qualche preoccupazione. Però, quando Albiera, mia figlia maggiore, aveva 17-18 anni, mi ricordo che mi accompagnò in un viaggio di promozione dei vini italiani in Canada e io a un certo momento dovetti tornare rapidamente in Italia, perché all’epoca ero presidente di Federvini, e fu il momento dello scandalo del metanolo in Italia, per cui fu richiamato perché dovevamo prendere alcune decisioni. E quindi lasciai Albiera da sola in Canada. Fece un bellissimo lavoro, forse migliore di quello che avrei fatto io, e capii che, invece, contrariamente a quanto avevo sospettato e temuto, c’era un interesse, una capacità e anche una volontà di occuparsi dell’azienda. Le altre due sorelle hanno seguito l’esempio della maggiore e e gradualmente hanno preso sempre piede e responsabilità maggiori. Ora sono loro che, insieme ovviamente al management dell’azienda, Renzo Cotarella in particolare, la mandano avanti. Io cerco di fare solo le cose che mi divertono e tutti i grattacapi cerco di lasciarli a loro. Condividiamo gli stessi valori, le stesse passioni e soprattutto lo stesso amore per l’azienda. E questa è una cosa veramente importante per me, perché il mio amore per l’azienda è un amore viscerale, quasi morboso. Tanto è vero che a volte, per questo, mi chiedono se abbia bisogno di uno psichiatra. Invece l’amore delle mie figlie per l’azienda è normale, quindi loro non hanno bisogno di uno psichiatra” ha scherzato Antinori.
Infine, nel ricordare che la cena per festeggiare lo straordinario traguardo del Solaia - prima etichetta italiana arrivata, nel 1997, al n. 1 della “Top 100” di Wine Spectator, la più prestigiosa rivista internazionale del vino - fu organizzata, con un gesto di grande eleganza, da Bona Frescobaldi (altra grande dinastia dell’enologia toscana e brand famoso nel mondo ndr), Piero Antinori sottolinea che “una delle caratteristiche del nostro mestiere, all’interno della comunità del vino, è che siamo tutti amici, e che si si incontrano persone straordinarie”.
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