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ADDIO

Un omaggio gastronomico ad Andrea Camilleri, maestro di letteratura e ... cucina

Nei romanzi del Commissario Montalbano, la Sicilia nelle parole e nei grandi piatti, raccontati da giornalista Carlo Ottaviano
ANDREA CAMILLERI, COMMISSARIO MONTALBANO, RICETTE, SALVO MONTALBANO, SICILIA, Non Solo Vino
Andrea Camilleri, "padre" del Commissario Montalbano

Al di là di qualsiasi tipo di retorica, quella di Andrea Camilleri, scomparso oggi a 93 anni, è destinata a restare una figura fondamentale per la letteratura italiana del Novecento. Non solo perché ha regalato all’immaginario collettivo un personaggio paragonabile forse al solo, ed altrettanto mitico, Maigret, ossia il Commissario Montalbano, ma anche perché è riuscito a tenere in vita e salvare una lingua ricca e bellissima come il siciliano, fondamentale nel flusso narrativo dei suoi romanzi, per suoni, espressioni e nomi. A partire da quelli dei piatti, perché chiunque si sia imbattuto in uno dei 27 romanzi dedicati a Salvo Montalbano non può non aver sentito, ad un certo punto, i chiari sintomi della fame. Il Commissario, personaggio complesso, scostante ma assolutamente affascinante, è prima di tutto un gastronomo di assoluto valore. Che il giornalista Carlo Ottaviano, tra le firme più importanti del giornalismo gastronomico italiano, ha voluto ricordare, per WineNews, attraverso tre piatti simbolo della cucina siciliana, forse i più amati dal Commissario Montalbano, citando gli scritti di Andrea Camilleri, con tanto di espressioni in siciliano. Prima di tutto, gli Arancini siciliani (da “Gli arancini di Montalbano”): “Gesù, gli arancini di Adelina! Li avevo assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era trasùto nel Dna, nel patrimonio genetico. Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta...”. Quindi le Sarde a beccafico (da “Il ladro di merendine”): “S’arrisbigliò malamente: i linzòla, nel sudatizzo del sonno per via del chilo e mezzo di sarde a beccafico che la sera avanti s’era sbafat, gli si erano strettamente arravugliate torno torno il corpo...”. Infine, la Caponatina (da “La gita a Tindari”): “Appena aperto il frigorifero, la vide. La caponatina! Sciavuròsa, colorita, abbondante, riempiva un piatto funnùto, una porzione per almeno quattro pirsone...”. Tre piatti simbolo, tra i tanti raccontati ed evocati da Camilleri, per ricordarlo anche così, come un amante ed un fine conoscitore della cucina siciliana, che con tanta cura ha raccontato a generazioni di lettori.

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