Il mercato del vino, anche in Usa, non brilla, le difficoltà economiche non mancano, e c’è grande incertezza in vista delle elezioni presidenziali, ormai alle porte. Ma nel complesso, le cose non vanno malissimo per il vino italiano, che resta leader assoluto tra i vini importati nel più importante mercato del mondo, e che cresce più della media, almeno nei primi 6 mesi 2024. A dirlo, la nota dell’Ice di New York, diretto da Erica Di Giovancarlo, sull’andamento di mercato tra gennaio e giugno 2024, analizzata da WineNews. I dati, dicono che gli Usa, nel primo semestre dell’anno, hanno importato 6,3 milioni di ettolitri di vino, lo 0,7% in più dello stesso periodo 2023, per un valore, però, a -3%, per 3,3 miliardi di dollari. Ebbene, in questo quadro, l’Italia ha esportato vino per 1,8 milioni di ettolitri, in crescita del +4,5%, rimanendo leader in volume, davanti al Canada, che in Usa ha esportato 1,1 milioni di ettolitri di vino (+0,4%), ma quasi tutto di vino sfuso (che, invece, incide appena per il 3,4% sulle esportazioni di vino italiano in Usa), e alla Francia, a 872.300 ettolitri, a +1,9%, mentre perdono nettamente terreno Australia (643.600 ettolitri, -18,2%), e Nuova Zelanda (con 521.200 ettolitri, a -8,8%). Ma le cose sembrano andare bene anche in valore, per l’Italia, che ha incassato 1,11 miliardi di dollari, a +5,6% sulla prima metà 2023, nettamente meglio del mercato e anche del primo competitor, la Francia, ormai raggiunta, a 1,13 miliardi di dollari, in calo del -10%. Con il Belpaese che, dunque, detiene una quota del 27,7% in volume e del 33,8% in valore tra i vini importanti negli Usa. Un risultato, sottolinea l’Ice di New York, ottenuto anche grazie al fatto che “i vini italiani continuano a offrire al consumatore un rapporto qualità-prezzo eccezionale e la diversità delle sue regioni, degli stili e delle varietà offre numerose opzioni ai consumatori americani assetati di nuove esperienze”.
Ed in effetti, guardando alle diverse tipologie di vino, il vino italiano fa meglio della media del mercato in tutte le categorie, dai bianchi, che sono la tipologia più importata in Usa dall’Italia, agli spumanti, che quasi pareggiano in quantità ed in valore i bianchi fermi, ai rossi, che pur essendo la categoria minore, in quantità, continuano a rappresentare quella più redditizia in valore. Il vino bianco, infatti, spiega l’Ice, è stata la sottocategoria con il volume di importazione più elevato nel primo semestre 2024, proseguendo la tendenza degli anni precedenti. L’America ha importato 1,6 milioni di ettolitri di vino bianco, pari al 49,6% di tutte le sue importazioni di vino da tavola, nonostante un -2,1% in volume e -4,2% in valore, per 958 milioni di dollari. In questo contesto, il vino bianco italiano ha detenuto la quota di mercato maggiore sia in volume (37,8%) che in valore (34,3%). Avendo fatto meglio della categoria, le esportazioni italiane sono diminuite del -0,2% in volume raggiungendo i 606.000 ettolitri, e del -3% in valore a 323 milioni di dollari. Con un interesse crescente, segnalano gli operatori, per vini con buona acidità, leggeri, e per varietà come Vermentino, Falanghina, Grillo e Verdicchio. Guardando ai rossi, invece, nei primi 6 mesi 2024 gli Usa hanno importato 1,3 milioni di ettolitri di vino rosso, pari al 41,2% delle importazioni statunitensi di vino da tavola, a +9% in volume e +5,8% in valore, a 937,5 milioni di dollari. L’Italia, sui vini rossi, è stata il primo Paese sia in volume che in valore, con 427.000 ettolitri (+5%) per 332 milioni di dollari (+12,1%), con il trade che evidenzia il buon momento dei vini da varietà come Barbera, Nero d’Avola e Sangiovese.
Guardando al capitolo spumanti, invece, che gli Usa hanno importato nel complesso 856.000 ettolitri (+4,7%) per 726 milioni di dollari (-9,9%) nei primi 6 mesi 2024. Anche nel caso delle bollicine, il Belpaese ha fatto molto meglio della media del mercato, con 583.000 ettolitri (ben oltre la metà del totale, a +8,1% in volume) per 317 milioni di dollari (+6,6%). “Gli operatori del settore - spiega l’Ice di New York - hanno notato che il Prosecco in particolare rimane popolare tra i consumatori americani. Rispetto agli altri due vini spumanti europei più popolari, lo Champagne francese e il Cava spagnolo, il Prosecco continua a beneficiare di un forte rapporto qualità/prezzo, rimanendo a un prezzo più accessibile rispetto allo Champagne di lusso, pur presentando una percezione di qualità più elevata e un maggiore riconoscimento del marchio rispetto al Cava dal prezzo più competitivo. Al contrario, i consumatori americani potrebbero trarre grandi benefici da una maggiore consapevolezza della vasta gamma di vini spumanti made in Italy. Negli Stati Uniti, “Champagne” è spesso usato in modo intercambiabile con “vino spumante”, e i consumatori tendono generalmente a vedere qualsiasi vino spumante italiano come “Prosecco”. Sono necessari investimenti da parte degli stakeholder lungo tutta la filiera distributiva, dai produttori ai consorzi agli importatori, per aumentare la consapevolezza del marchio di altri vini spumanti italiani, ad esempio Franciacorta e Trentodoc. Un punto di fiducia nella categoria sono le vendite on-premise, dove i consumatori americani preferiscono lo spumante importato in un rapporto di 2:1 rispetto agli spumanti americani. In mezzo al calo delle vendite di vino tra i consumatori di reddito medio, i consumatori benestanti continuano ad acquistare spumanti premium nei ristoranti”.
A completare il panorama, spiega ancora Ice, ci sono i vini rosati, che però sono in netto calo, in generale, in Usa, e che per l’Italia rappresentano una piccola fetta, con 28.000 ettolitri per 17 milioni di dollari nella prima metà dell’anno, in un segmento, però, in cui domina la Francia con oltre l’80% del volume e poco meno in valore, e con l’Italia che è seconda per quota di mercato, ma sotto al 10% in entrambi i parametri, ma anche i vini da dessert o fortificati, le cui importazioni in Usa sono in aumento in volume (277.000 ettolitri, +21,1%), ma in calo in valore (299 milioni di dollari, -3,7%), con l’Italia che anche in questo segmento cresce, con 53.600 ettolitri (+9,2%) per 105 milioni di dollari (+11%).
Tutto questo, spiega l’Ice, che ha elaborato i dati dello Us Department of Commerce, in un quadro in cui se l’interscambio complessivo degli Usa con il resto del mondo ha registrato una crescita del +2,9%, quello con l’Italia, nel complesso, segna +11,4%, e con il settore agroalimentare e bevande che fa +19,7%. In un mercato, quello americano, che resta il più importante al mondo per il vino, prodotto che sembra stabile nelle preferenze dei consumatori. Oggi, infatti, se si guarda al mondo del beverage alcolico, gli spirits nel 2023 hanno rappresentato il 42,2% delle vendite, davanti alla birra, con il 41,8% che, però, perde terreno, mentre il vino si è fermato al 16,1%, in valore. E mentre la birra ha costantemente perso quote di mercato rispetto agli alcolici dal 2000, sottolinea ancora l’Ice, il vino è rimasto costantemente tra il 15% e il 17%, con vendite che ammontano a circa 300 miliardi di dollari.
A contribuire all’ascesa degli alcolici sono i cambiamenti demografici e gli interessi dei consumatori. La nuova generazione di consumatori alla ricerca di bevande alcoliche cerca l’aspetto “esperienziale” di cocktail e analcolici personalizzati nei ristoranti e nei bar e dà priorità alla praticità e alla diversità delle bevande pronte da bere (“Ready to Drink”) quando è a casa o in altri contesti sociali “on-premise”. Uno scenario al quale anche il vino, pur forte della sua solidità nelle preferenze degli americani, deve guardare con attenzione per immaginare il suo futuro.
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