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IL PUNTO DI VISTA

Usa, in caso di dazi, niente panico: a WineNews, Tara Empson, guida dell’importatore Empson & Co.

“L’impatto sarebbe pesante, ma per ora c’è solo una grande confusione di informazione. Se arrivassero, sarà fondamentale essere coerenti”
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Tara Empson, guida dell’importatore Empson & Co, tra i pionieri del vino italiano in Usa

La certezza è che gli Usa sono un mercato fondamentale per il vino italiano. Molto più difficile capire cosa succederà in quel mercato, o meglio in quei mercati, tanti quanti sono gli Stati dell’Unione, con un occhio attentissimo alla vicenda dazi, ma anche ai cambiamenti negli stili di consumo, alla concorrenza di altri Paesi produttori e non solo. WineNews ne ha parlato con Tara Empson, alla guida della Empson & Co., storico importatore di vini italiani in Usa (nato nel 1972 a Milano, fondato da Neil Empson), che oggi ha tra i suoi partner marchi come Boscarelli, Bucci, Conterno Fantino, Conti Costanti, Costaripa, Enrico Gatti, Farnese, Felsina, Franz Hass, Fuligni, Pietradolce, Poderi Einaudi, Cantina di Santadi, Speri e Suavia, per citarne alcuni. Innanzitutto, al netto di quello che sarà, è importante capire come sta il vino italiano oggi nel mercato Usa. “La risposta, come sempre, non è univoca. Il vino va sempre bene - risponde Tara Empon, che ha 34 anni ed ha preso le redini dell’azienda dal padre Neil - però risente anche di una più ampia scelta di mercato che, oggi, offre fasce diverse di prodotto. Io noto che in generale il consumo pro-capite di vino è diminuito. Prima il super alcolico e il vino, francese o italiano, erano praticamente l’unica scelta e avevano la supremazia, mentre ora ci sono prodotti come i seltzer a bassa gradazione alcolica, le birre artigianali e il vino in lattina. E anche le bibite analcoliche proliferano sul mercato, come i gin senza alcool, ad esempio. Il consumatore millennial vive in un ambiente dove non vuole ubriacarsi, vuole socializzare senza perdere il controllo, e può anche spendere (queste bibite analcoliche non sono economiche). Ad ogni modo c’è anche da sottolineare che non tutte le persone che scelgono di bere queste bibite sono anche consumatori di vino. Per il vino italiano che piace di più, qui negli Usa, non noto differenze tra tipologie. C’è molto interesse ad esplorare l’Italia nella sua totalità e diversità, non si è più chiusi. L’Italia ha sempre un grande fascino. In generale, posso dire che i vini dell’Etna vanno molto bene e che la Sardegna sta iniziando a prendere piede, così come i vini delle Eolie, anche se in quest’ultimo caso si tratta di prodotti di nicchia e di fasce di prezzo molto più alte. Ancora, il Sangiovese sta tornando molto e cresce la presenza della Campania, grazie a produttori che hanno un nuovo mind set e sono più pronti a un mercato che chiede sempre più investimenti. Secondo i nostri dati, la fascia di prezzo più richiesta del prodotto (a scaffale) è quella compresa tra i 15 e i 19,99 dollari alla bottiglia. La fascia immediatamente sotto sta perdendo quote di mercato”.
Venendo alla cronaca, la minaccia di nuovi dazi sta spaventando il settore. Soprattutto, pensando a cosa succederebbe, in concreto, se fossero introdotte tariffe del 100% sui vini d’Europa in generale, e d’Italia in particolare. “Non credo che la quota del 100% per i dazi possa essere una condizione che perduri nel tempo. Sarebbe una vera catastrofe - spiega Tara - a partire dai produttori, per poi avere un riverbero qui, in America, non solo per gli importatori e i distributori ma anche per tutto il settore dell’hospitality. L’impatto su tutta la “wine industry”, su tutti i posti di lavoro che gravitano attorno al “Made in Italy” agro-alimentare sarebbe devastante. Auspico che una percentuale così alta in tassazione possa perdurare, se verrà introdotto, al massimo per un paio di mesi, e poi che venga tolta. Dazi di percentuale inferiore, invece, ad esempio al 25%, si prolungherebbero certamente ma con un impatto certamente più contenuto su tutti noi operatori. I dazi metterebbero in crisi tutti, la filiera intera è a rischio. Una buona parte di cantine italiane vende agli Usa dal 25% al 50% del proprio prodotto. Si salverà chi nel tempo è riuscito a creare un network di esportazione, chi, memore dell’anno nero dell’economia americana, ha imparato che non ci si può basare sull’economia di un solo paese ma è importante avere un bacino di paesi-clienti per il proprio prodotto”.
Come già riportato da WineNews, molti importatori hanno anticipato gli ordini, e molti produttori di conseguenza le spedizioni, soprattutto da territori importanti come Langhe e Montalcino. Secondo alcuni, di fatto, l’unica contromisura possibile allo stato attuale. “Ci sono state scelte differenti. Alcuni hanno deciso di aspettare - spiega la Empson - e altri no. Alcuni si sono fatti prendere dal panico e hanno adesso uno stock enorme di vino qui su suolo americano, altri stanno aspettando di capire. È sicuramente una scommessa. La nostra politica è stata quella di aspettare, anche perchè in funzione dell’entrata o meno in vigore dei dazi ci sarà da rivedere il listino di vendita”.
Certo è che viene da pensare che, in caso di dazi sui vini Ue, altri Paesi produttori, a partire dagli stessi Usa, ne potrebbero trarre vantaggio. “Assolutamente vero. Paesi come la Nuova Zelanda, il Cile o l’Australia, che esporta da sempre Pinot Nero di grande qualità, ad esempio, ne gioverebbero. Questi Paesi stanno producendo volumi di vino buoni e, spesso, a prezzi competitivi (talvolta con costi inferiori ai vini italiani). Ed anche i vini americani ne troverebbero beneficio. Per concludere, mi sento di dire che, in questo momento, il sentimento predominante è la paura, oltre che una gran confusione: tante informazioni diverse e tanta incertezza. La cosa più pericolosa ora è farsi prendere dal panico. E, per noi italiani, per una volta, è fondamentale agire con coerenza di intenti, mantenere una comunicazione aperta con i propri partner, qui sul mercato, ovvero noi importatori, e non cedere al panico nel caso in cui i dazi divengano realtà”.

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