Quest’anno non è stato tra i migliori per i consumi di vino che hanno segnato una flessione a livello planetario. In particolare il mercato del vino Usa, che resta il n. 1 al mondo, in assoluto, e anche per le esportazioni dalle cantine del Belpaese ha evidenziato tendenze preoccupanti complice una serie di fattori politico-economici e demografici toccando il punto più basso, tornando ai livelli del 2016, nel 2022. Basta guardare il dato italiano, con le esportazioni enoiche tricolore che, nei primi 7 mesi 2023, segnano un -8,1% sul 2022, per 1,04 miliardi di euro, secondo i dati Istat. Ad analizzare le tendenze nel più importante mercato per il vino italiano, al “Wine2Wine Business Forum” n.10 a Verona, Danny Brager, analista leader del settore e membro del Wine Market Research Committee. Un intervento ricchissimo non solo sulle analisi del Wine Market Council (Wmc), che fornisce dati, trend, approfondimenti e informazioni essenziali sul wine market a tutti i livelli dell’industria vinicola, ma anche di altre fonti di importanti osservatori dei vari segmenti della distribuzione, come NielsenIQ, SipSource e somm.com.
Saper quantificare realisticamente le opportunità del complesso mercato degli Stati Uniti e in che modo il proprio vino e diverso e migliore, è fondamentale. Tassativo è saper innovare il prodotto esplorando l’ambito “better for you”, cioè negli aspetti che i consumatori ritengono prioritari, come bassi livelli di alcol, di carboidrati e zuccheri, bio e biodinamico e coerenza nell’etichettatura e nella comunicazione puntando su un confezionamento alternativo per volume e per materiali (scendono le vendite di bottiglie da 0,75, che comunque rimangono in testa, salgono i formati più piccoli; cala il vetro e aumentano gli altri contenitori). Allargare l’attenzione dalle piazze degli Stati dove il vino italiano è già affermato, a quelli “meno sviluppati”, come per esempio il Colorado. E per ultimo, ma non per importanza, sostenere collettivamente i brand di denominazione superando la concorrenza e collaborando con i competitor per creare una immagine condivisa. Il mercato Usa ama l’unicità, la storia e la cultura e in Italia questi elementi non mancano. Queste, in sintesi, le indicazioni scaturite dall’intervento di Brager per i produttori di vino italiani.
“Negli ultimi quattro anni sono avvenute molte cose che hanno avuto un forte impatto - ha premesso Danny Brager - dalla pandemia, all’instabilità politico-economica interna, dovuta alle prossime elezioni del 2024, a livelli record di debito dei consumatori, a inflazione e tassi di interesse elevati, ed esterna legata alle guerre in Ucraina e Medio Oriente. Se il tasso di disoccupazione è basso, inflazione e tassi condizionano i consumi. Per il consumatore medio il vino è un bene voluttuario e viene dopo le bollette”. Quello degli Usa è un mercato grande, complesso e fluido in cui 80 milioni di consumatori - di cui 44 abituali e 36 occasionali - acquistano 386 milioni di casse di vino (da 9 litri cadauna, di cui 23 di spumanti) di 400.000 referenze. Un mercato fluido in cui ogni anno approdano 110.000 etichette nuove. “È chiaro quindi che bisogna pescare dove ci sono i pesci” - ha detto con un esempio efficace Brager. Cioè comprendendo le tendenze in atto e guardando ai numeri. Il 28% dei consumatori Usa in età legale per bere alcol si astengono dal consumo, con prevalenza di anziani e giovani; solo il 10% sono i bevitori abituali e quelli che bevono una volta alla settimana sono il 18%, mentre il 15% ne bevono una volta ogni due o tre mesi, infine, la fascia più importante (29%) è rappresentata da coloro che bevono solo birra, alcolici o altre bevande alcoliche.
“I consumi più bassi si rilevano nella fascia di età tra i 21 e i 49 anni - ha sottolineato Brager - e tra gli ispanici, che quindi sono i target su cui lavorare. Per i giovani fondamentale sono il “flavour” e sono interessati al benessere, a capire cosa bevono e mangiano e anche alla convenienza. Il drive esperienziale è poi fondamentale: bisogna collegare il vino al Paese di provenienza e ai valori delle aziende che assumono sempre maggior importanza. Importante è anche capire le tendenze, differenziate su base etnica tra ispanici, neri e asiatici, che sono guidate dalle generazioni più giovani. Questo è molto importante perché la maggioranza multiculturale sarà sempre più la norma”.
Lo scenario disegnato da Brager contraddice quanto fin qui si è detto, Non è vero che oggi “si beve meno, ma meglio”. L’analisi è ben più complessa: sono sempre meno i bevitori esclusivi di una sola categoria, la concorrenza è sempre più accesa non solo con le altre bevande alcoliche, ma anche con altre. “Vincono i superalcolici, la birra, lentamente, ma da tempo, è in diminuzione, mentre il calo del vino si è manifestato più recentemente” ha argomentato Brager. Secondo il quale una nuova e temibile concorrenza arriva dalle bevande analcoliche e, sempre di più dalla canapa. Il 42% dei bevitori di vino ha acquistato Cannabis, legale in 25 Stati, e di questi alle volte il 59% la sceglie in alternativa. I consumatori scelgono differenti drink in base all’occasione. Nel 48% delle volte superalcolici, in particolare vodka, tequila, seguiti da cocktail ready to drink-Rtd (43%) e da quelli fatti in casa (41%), da hard seltzer, bevande aromatizzate, leggermente alcoliche e frizzanti, tutti ad affollare gli scaffali del supermarket, e solo al quinto posto si posiziona il vino (32%). Tra questi i bianchi hanno prestazioni migliori dei rossi e crescono bene i segmenti “better for you”. Crescono i Wine Cocktails nei piccoli formati, ma ben al di sotto della quota di Spirits Rtd”.
La buona notizia è che l’Italia rimane di gran lunga il principale Paese importatore di vino negli Usa: la quota di vino da tavola è stabile negli anni e gli sparkling sono in crescita sostenuta da Prosecco e Pinot grigio. “Il cambiamento degli stili di vita verso situazioni più informali - ha sottolineato - richiede che il vino diventi più “casual”, che si rinnovi perché è percepito come una bevanda “vecchia” sempre uguale a se stessa. Bisogna lavorare sulla percezione del vino e, ribadisco, puntare su elementi “better for you”, così come altre bevande stanno facendo” . La crescita dei superalcolici a fronte del calo dei consumi del vino, soprattutto alla luce della ricerca di sostenibilità salutistica in primis, ha tuttavia degli aspetti contradditori, come ha evidenziato Ettore Nicoletto, ceo Angelini Wines & Estates, che ha moderato l’incontro con Danny Brager.
“In realtà i cocktail ready to drink che sottraggono mercato al vino - ha risposto l’analista del Wmc Research Committee - hanno un grado alcolico basso e poi c’è la componente etnica: gli ispanici bevono preferibilmente tequila. Poi c’è un altro aspetto che è quello del prezzo. Mentre per bere un bicchiere di vino bisogna spendere minimo 2,5 dollari, per uno di vodka basta 1 dollaro. Inoltre c’è l’aspetto dell’innovazione: molti preferiscono spendere 15 dollari per un cocktail che non sanno farsi a casa piuttosto che per una bottiglia di vino”.
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