Ottimismo per l’economia, una rivoluzione “rosa” alla guida delle cantine italiane, e una sempre maggiore vocazione all’internazionalità. Ecco i tre aspetti più positivi che emergono da Vinitaly, visto da Costantino Cipolla, ordinario di Sociologia all’Università di Bologna e attento osservatore del mondo del vino. “Dopo un po’ di anni per la prima volta ho sentito un po’ di ottimismo da parte di tutti, produttori, istituzioni e pubblico. E la presenza di stranieri cresce a vista d’occhio”. Cosa fondamentale, visto la sempre più stretta dipendenza dall’export per il vino italiano. “Sempre più significativa la presenza di donne alla guida delle imprese - aggiunge Cipolla - che sostituiscono le generazioni che si fanno da parte al timone delle cantine. E poi una cosa va detta: dal punto di vista estetico (anche questo aiuta, ndr) Vinitaly è la fiera più bella che c’è in giro”. E fin qui le note positive. “Quello che mi è dispiaciuto è non aver notato, da parte della Fiera, grandi messaggi sul bere responsabile. E servirebbe anche maggiore attenzione nel controllo di chi esagera, più vigilanza. Comunque, quello che si nota, anche “fisicamente”, senza statistiche, è che Vinitaly continua a crescere. E il cambio di date, dalla domenica e mercoledì (non più dal venerdì al lunedì, ndr) è difficile da leggere, ma la decisione di specializzare la Fiera di più sul business è una scelta importante”.
Ma Vinitaly è anche un momento per riflettere sul vino nella società di oggi. E proprio di queste ore è la richiesta del Codacons di inserire nelle bottiglie degli alcolici, e anche del vino, messaggi come quelli sui pacchetti di sigarette sulla pericolosità del consumo, non già dell’abuso, per la salute. Cosa ne pensa, visto che è anche sociologo della salute?
“L’alcol è un complemento del cibo, se non un cibo in se stesso. Non è la sigaretta, che come tale è, di per se, una “droga legale”, leggera dal punto di vista degli effetti che produce, molto pesante dal punto di vista della dipendenza che ha. L’alcol no, anzi, acquisito in giuste dosi e di buona qualità, inteso come vino, è sicuramente un cibo che fa anche bene, quindi il problema è come si usa e che senso gli si attribuisce. Ora, è fuori discussione che di fronte a un crollo dei consumi di alcol e di vino negli ultimi anni, restano degli stili di consumo, in particolare nel mondo giovanile, che sono sostanzialmente di natura “drogastica”, perché è un consumo che già a priori è legato allo sballo, a prescindere dalla sostanza. Uno beve una bottiglia di vino in un’ora e se ne frega di quello che sta bevendo, perché l’unica cosa che gli interessa è assumere quell’alcol che lo fa sballare”. Quindi non è nel prodotto, ma nell’uso che se ne fa, il potenziale problema?
“Esatto, questo è ciò che sta accadendo: l’alcol diventa una cosa che si beve durante la cena, una cosa che si beve da sola, un cosa leggera, una cosa pesante, una droga. E tante cose diverse. E oggi ci troviamo in una condizione di una parte di mondo giovanile che lo utilizza come una droga, e quindi ha una funzione diversa da quella che ha avuto tradizionalmente. Ma non possiamo definirci una nazione di avvinazzati. È che il concetto di bere responsabilmente deve essere spiegato e veicolato al meglio possibile. E quindi si potrebbero anche mettere nelle retroetichette del vino e degli alcolici delle frasi come “bevi responsabilmente”, qualche cosa che vada standard su tutte le bottiglie. Non vedo cosa comporterebbe di negativo se sulle bottiglie ci fosse scritto che il vino è un piacere ma anche un pericolo, se usato male. Certo non si può mettere “se lo bevi uccide” come avviene per le sigarette, perché non è così. Anzi, molti medici dicono di berne un po’ per avere effetti benefici per la salute ...”.
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