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VINITALY: EXPORT DA RECORD PER IL VINO “MADE IN ITALY”. I CONSUMI NAZIONALI CALANO, MA LA QUALITÀ “REGGE”. SETTE ITALIANI SU DIECI NON RINUNCIANO AD UN BUON BICCHIERE. INDAGINE CIA FOTOGRAFA IL RAPPORTO DEGLI ITALIANI CON IL “NETTARE DI BACCO”

Tappeto rosso per le cantine italiane che arrivano al Vinitaly da star, potendo vantare cifre da record. Per il vino tricolore, infatti, il 2010 è l’anno del massimo storico dell’export. Ha fatto il pieno all’estero, ma ha visto scendere i suoi consumi interni. Solo con i 20 milioni di ettolitri esportati lo scorso anno, il settore ha incassato quasi 4 miliardi di euro, ricavando così quasi il 30% del suo fatturato annuale complessivo, che ammonta a 13,5 miliardi di euro. Una bottiglia su tre ha oltrepassato i confini dello Stivale, facendo registrare un incremento a due cifre (più 11,7%) rispetto all’anno precedente. Lo afferma la Cia - Confederazione Italiana Agricoltori per Vinitaly 2011 di Verona.

L’ottima performance stride però con gli aspetti meno salutari del settore. Se all’estero i nostri vini di qualità riscuotono un successo senza eguali, facendo del nostro Paese il primo esportatore di vino al mondo che conquista anche le nuove piazze dei paesi emergenti (soprattutto Cina e Russia, in cui l’import di vino italiano è cresciuto rispettivamente del 145% e del 69%), la vera partita il nostro vino deve giocarla in casa propria, dove i consumi diminuiscono con ritmo lento ma costante. Solo nel 2010 le vendite sono scese complessivamente dell’1,3%, ma la responsabilità è tutta dei vini sfusi, gli unici a perdere realmente terreno, facendo registrare una diminuzione di 2,1%.

Le bottiglie di qualità a denominazione, controbilanciano la caduta del vino “da tavola”, dimostrando di non accusare la diminuzione complessiva del consumo pro-capite, sceso da 55 a 43 litri in meno di 15 anni (dal 1995 al 2009), “perdendo” per strada ben 12 litri. Secondo le stime di Assoenologi, è destinato a diminuire ulteriormente raggiungendo nel 2015 i 40 litri, e buona parte della responsabilità di questi risultati in ribasso sta nella facile “criminalizzazione” del prodotto, che ha portato a confondere il consumo di vino (che, se bevuto con moderazione e regolarmente, fa bene alla salute, come confermano recenti studi scientifici) con l’abuso di alcol.

È vero che nel paese del buon vino si beve sempre meno, ma queste cifre in diminuzione rappresentano soprattutto un cambiamento di tipo culturale. Da un’indagine della Cia, che fotografa il rinnovato rapporto degli italiani con il bere, risulta che il vino, da vero e proprio alimento sempre presente sulle tavole degli italiani a prescindere dalla qualità, oggi è prevalentemente accessorio al pasto, un “di più” da aggiungere solo se racchiude precise caratteristiche e tipicità.

D’altra parte, solo il 48 per cento delle famiglie italiane -come emerge dall’indagine della Cia- beve vino a pasto, mentre sono sette su dieci gli italiani che scelgono le etichette a denominazione. L’attenzione alla qualità è, però, molto spesso accompagnata da quella per il prezzo: ben il 70% dei nostri connazionali dichiara di scegliere il prodotto in base al rapporto qualità-prezzo. Il 15% sceglie le etichette che superano gli 8 euro, il 25% preferisce quelle che oscillano tra i 4 e i 6 euro, mentre le bottiglie più vendute sono quelle che oscillano tra i 6 e gli 8 euro (60%).

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