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TREND E FUTURO

Vino dealcolato o low alcol: in Ue si dibatte, ma in Usa il mercato cresce, specie tra i giovani

Analisi Wine Intelligence. L’attenzione alla salute il primo driver di scelta. L’enologo Jacopo Vagaggini: “è un prodotto diverso, non una minaccia”
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Vino dealcolato o low alcol: in Ue si dibatte, ma in Usa il mercato cresce, specie tra i giovani

Così come si arenato, per ora, il percorso per la nuova Pac in Europa, allo stesso modo è rimasta sospesa la nuova regolamentazione per i vini cosiddetti dealcolati, dopo il polverone sollevato nei giorni scorsi, e che vi abbiamo raccontato riportando posizioni ufficiali delle rappresentanze della filiera, di enologi e produttori, con le richieste che l’Italia, con il Ministro delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli, dovrà portare avanti in Europa, in uno scenario tutt’altro che semplice. Fatto sta che, piaccia o meno ai più, quella dei vini dealcolati o a basso tenore alcolico, sono una categoria di prodotto in qualche modo già sul mercato, che cresce e con cui dover fare i conti.
Come racconta un nuovo report di Wine Intelligence focalizzato su quello che ad oggi è il più grande mercato del vino al mondo, gli Usa, dove la crescita del vino low alcol o addirittura senza alcol, vedrà una crescita aggregata del 10% da qui al 2024, secondo i dati dell’International Wine & Spirits Research. Perchè al netto di questioni formali, come l’opportunità o meno di chiamarlo comunque vino, normative ed organolettiche, è un prodotto appetibile per vari aspetti, a partire dalla crescente attenzione al tema della salute. Secondo Wine Intelligence, un terzo dei consumatori di vino in Usa sta moderando il proprio consumo di alcolici. Di questi, il 19% lo fa riducendo le occasioni di consumo, il 12% passando a bevande analcoliche, ed il 14% guardando proprio a prodotti con un minore contenuto di alcol. E questo trend è più forte soprattutto tra i più giovani, che siano la cosidetta Generazione Z (i nati tra il 1995 ed il 2010) ed in più giovani tra i Millennials (che vanno tra i 21 ed i 34 anni).
Altra curiosità che emerge, è che in tutte le fasce di età sono più gli uomini che le donne a ricercare vini a basso contenuto di alcol. E se questo è quello che avviene in Usa, Wine Intelligence ha anche analizzato le motivazioni che possono spingere i consumatori vesto questo tipo di prodotti sondando le opinioni dei consumatori regolari di vino non solo in Usa, ma anche in Uk, Australia, Belgio, Canada Irlanda, Giappone, Olanda e Svizzera. La prima motivazione forte e chiara di scelta di vini dealcolati o senz'alcol, è che vengono considerati migliori per la salute (57%), ma a molti piace anche il sapore (48%), passando per la volontà di mantenere la lucidità ed il controllo di se stessi (43%), ma anche i fatto che abbiano meno calorie dei vini convenzionali (40%) e non solo. Insomma, viene da constatare, i vini dealcolati o a basso tenore alcolico sono una realtà che va crescendo, e se c’è chi sostiene che sia corretto parlarne, “magari chiarendo se si debbano chiamare vino o meno, e comunque lasciare fuori dal contesto i vini Dop e Igp”, come ribadito da Albiera Antinori, alla guida del “Gruppo Vino” di Federvini, c’è chi, come la Unione Italiana Vini guidata da Ernesto Abbona, puntualizza come sia opportuno regolamentarli nel quadro della produzione di vino, “per evitare che possano divenire business di altre industrie estranee al mondo vino”, come sottolineato dal segretario generale Paolo Castelletti.
E anche tra gli enologi, c’è chi, con tutti i distinguo del caso, non demonizza il vino dealcolato (che già esiste e viene prodotto anche in Italia), ma cerca di leggerci un’opportunità, come Jacopo Vagaggini: “non c’è dubbio che un vino dealcolato sia un prodotto molto artefatto, lontano dalla sua origine e dai suoi tratti distintivi. Nell’affrontare questa tematica dobbiamo prendere coscienza di questo aspetto: il vino dealcolato è un prodotto diverso che assolve a un ruolo diverso. Viviamo in un mondo sempre più variegato dove la diversità non è più una minaccia, ma un punto di forza che crea nuove possibilità di mercato: anche nelle aziende vinicole la gamma di vini tende ad ampliarsi sempre di più per soddisfare le più svariate richieste.
C’è un altro aspetto importante nella questione: come sono solito dire, è spesso nell’estremo che si trova l’equilibrio. Il vigneto a 20.000 ceppi per ettaro nel mio polo sperimentale è un estremo che ha difatti smosso tante conoscenze e tante anime; oggi vedo svariati produttori piantare vigneti ad alberello a densità elevate. È così probabile che il vino dealcolato smuova degli equilibri, spingendo il mercato verso vini meno alcolici, un aspetto su cui lavoro da tempo su molti fronti sperimentali: nuove forme di allevamento, nuovi cloni e soprattutto portinnesti più resistenti alla siccità, prodotti e lavorazioni che aiutano la pianta a tollerare meglio il caldo e lo stress. Da alcuni anni sto lavorando su nuovi ceppi di lievito in grado di allungare la prima fermentazione del vino, chiamata glicero-piruvica, che sottrae parte dello zucchero destinato alla fermentazione alcolica. Questo porterebbe ad una diminuzione dell’alcool complessivo nel vino, aumentando invece la concentrazione di glicerolo, molecola responsabile della cosiddetta “sucrosité”, ossia la dolcezza senza zucchero, considerata dai francesi uno dei requisiti più importanti di un grande vino”. In ogni caso, come detto, è un filone con cui il mondo della produzione di uva e di vino dovrà fare i conti nell’immediato futuro. Anche perchè, come detto e come ricorda lo stesso Vagaggini, “la dealcolazione è una pratica ammessa per legge nella misura massima di 2% alcool (corrispondente al 20% del volume totale) tramite due metodi fisici: l’osmosi inversa, in cui il vino passa attraverso membrane semi-premiabili a pressioni molto elevate fino a 40 atmosfere, da cui si estrae una miscela di acqua ed alcool. L’alcool viene poi separato per distillazione; l’acqua rimanente, cosiddetta acqua di vegetazione, deve essere reincorporata nel vino originale per abbassarne la gradazione alcolica. Quest’ultimo passaggio è stato a lungo incriminato, erroneamente scambiato per un annacquamento che, al contrario, implica un aumento di volume tramite aggiunta di acqua con conseguente diluzione e abbassamento di gradazione alcolica. In alternativa c’è la tecnica dell’evaporazione sottovuoto. L’alcool etilico ha una temperatura di evaporazione di circa 78°C, più bassa rispetta a quella dell’acqua (100°C); lavorando sottovuoto, che abbassa la temperatura di evaporazione, a circa 20°C si riesce quindi ad eliminare l’alcool senza rimuovere l’acqua. Questa pratica è efficace, ma impoverisce il vino di molti profumi che, essendo molecole volatili, vengono persi nel corso dell’evaporazione e dell’aspirazione sottovuoto. Normalmente queste tecniche vengono applicate su una piccola frazione di vino, che viene poi reincorporata nella massa principale, abbassandone la gradazione. Nel caso di un vino dealcolato, invece, l’intera massa di vino deve essere trattata con un forte impatto sia aromatico che strutturale. L’equilibrio del vino è infatti determinato da tre principali componenti: acido, dolce e amaro. Se si assaggia l’alcool puro a 95° è dolce. Da qui nasce infatti una dicotomia: i vini molto alcolici, oggi in forte crescita come conseguenza del global warming, sono spesso mal visti da alcuni mercati ma apprezzati da critica e consumatori che gradiscono la dolcezza e l’untuosità che l’alcool apporta. La rimozione dell’alcool nel vino non è quindi una pratica indolore dato che incide fortemente sulla struttura del vino aumentandone l’acidità e l’astringenza. Per riportare l’equilibrio, è necessario quindi aggiungere prodotti dolcificanti come mosto concentrato (zucchero), mannoproteine e gomma arabica, che non solo hanno limiti legali di dosaggio ma conferiscono una sensazione meno autentica e raffinata. È con buona probabilità necessario anche ridurre l’acidità e la tannicità tramite aggiunta di disacidificanti e chiarificanti, che hanno un ulteriore effetto di impoverimento della struttura del vino”.

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