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REAZIONI

L’acqua nel vino indigna la politica ed Assoenologi, la Ue smentisce, ma il tema resta caldo

Il vino dealcolato fa discutere, tra barricate e qualche timida apertura. Perché il mercato esiste, e la necessità di regolarne la produzione anche
ASSOENOLOGI, BRUXELLES, COMMISSIONE AGRICOLTURA UE, LUCIO TASCA, PARLAMENTO UE, PATUANELLI, VINO DEALCOLATO, Italia
Il vino dealcolato e i suoi target

Intorno alla proposta emersa dall’ultimo trilogo - Commissione, Consiglio e Parlamento Ue - dell’Ocm Vino, sulla possibilità di produrre vini senza alcol, si continuano a registrare reazioni ed opinioni, a volte di segno opposto, ma anche precisazioni. Come quella riportata dall’Agi arrivata direttamente da una fonte interna al Parlamento Europeo, che sottolinea come “la proposta della Commissione Europea non contiene alcun riferimento all’aggiunta di acqua nel vino”. Una puntualizzazione non di poco conto, che chiarisce, da un punto di vista tecnico, la strada che potrebbe prendere l’Europa nella definizione del quadro giuridico all’interno del quale far rientrare anche i vini dealcolati, che rappresentano un’importante opportunità di mercato per il settore vitivinicolo dell’Unione Europea.
Quella che arriva dall’Unione Europea, così, è una risposta indiretta che potrebbe rassicurare, almeno sul fronte tecnico, il presidente Assoenologi, Riccardo Cotarella, che all’Ansa aveva commentato: “Aggiungere acqua al vino è pura follia. Consiglio a Bruxelles di consultare i produttori e noi enologi prima di proporre certe leggi”. Ricordando poi l’altra battaglia che vede Roma e Bruxelles su due sponde contrapposte: “Dopo le etichette allarmistiche, adesso arriva anche l’idea di annacquare il nostro vino, una proposte irricevibile. A causa della pandemia stiamo vivendo uno dei momenti più difficili di sempre - prosegue Cotarella - e l’Ue, invece, di sostenerci cosa fa? Ci infligge il colpo di grazia, semplicemente vergognoso. Se vogliono bevande alternative, se la creassero pure, ma giù le mani dal nostro vino, un patrimonio non solo dell’enogastronomia, ma direi della cultura mondiale”
Insomma, per il presidente degli enologi ed enotecnici italiani, non è nel vino senza alcol il futuro del settore. “Chiederemo al Governo che si faccia promotore di ogni iniziativa tesa a tutelare il nostro mondo
verso certe scelte che assolutamente non condividiamo. Abbiamo bisogno di sostegni - conclude Cotarella - per tutelare e promuovere i nostri vini, per renderli sempre più competitivi sui mercati globali, poi siamo noi enologi e sono i tanti produttori a raccomandare di bere in maniera sana ed equilibrata, ma non abbiamo certo bisogno di portare sulle nostre tavole delle alterazioni come invece suggerisce l’Europa”.
Un appello che si aggiunge al coro di no levatosi già da qualche giorno lungo tutto l’arco parlamentare (meno, in realtà, se non da un punto di vista squisitamente semantico, dal mondo del vino
), e che è stato prontamente raccolto e rilanciato anche dal Ministro delle Politiche Agricole, Stefano Patuanelli. “La discussione che si sta tenendo in Europa sulla possibilità di autorizzare nelle pratiche enologiche l’eliminazione totale o parziale dell’alcol con la possibilità di aggiungere acqua nei vini, anche quelli a denominazione di origine, contiene proposte che il nostro Paese non intende assecondare”, ha commentato il Ministro delle Politiche Agricole. “Porterò in Europa la voce compatta del Governo”.
Alla fine, per quanto paradossale possa sembrare, le aperture arrivano proprio dalla produzione, con due voci ben diverse, ma non troppo distanti. La prima è quella del conte Lucio Tasca d’Almerita, alla guida della griffe del vino siciliana, che non vede, come raccontato all’Adnkronos, “nessun rischio dal vino annacquato allo studio della Unione Europea”, anzi potrebbe convertire “al vino buono anche gli astemi. Ognuno può fare quello che vuole
- afferma - ci sarà una fascia che vorrà il vino analcolico e un’altra che non lo vorrà. Liberi tutti, ognuno deve fare come vuole, poi sarà il mercato a scegliere”, spiega Lucio Tasca. “Credo che questo prodotto potrebbe prendere quella fetta di mercato che non amava il vino, gli astemi. Quindi non credo che ci siano rischi per il mercato del vino classico, anzi ci sarà chi lo apprezzerà di più”. E, magari, conclude, “alla fine trascinerà pure gli astemi a bere il vino buono”.
L’altra voce, invece, è decisamente più “interessata”, ed è quella di Loris Casonato, che, nell’azienda Iris Vigneti di Mareno di Piave (Treviso), è stato il pioniere molti anni fa di un’intuizione diventata brevetto mondiale: è lui il depositario della prima bevanda analcolica ricavata dal Glera.
“Il vino si fa con l’uva: tradizione e prodotto vanno rispettati, ma occorre considerare anche le esigenze del mercato che per svariati motivi può esprimere esigenze alternative. L’importante è non snaturare un sistema produttivo che è vanto del made in Italy”, commenta Loris Casonato. “La mia è stata una risposta tecnicamente perfetta alle esigenze di sportivi, donne in gravidanza o clienti che per diversi motivi non possono bere alcol. Perché privarli della bontà del nettare di Bacco? Ho realizzato così una bibita naturale a base di succo d’uva del vitigno veneto con l’aggiunta di anidride carbonica per dare un tocco in più. Ci sono voluti anni di studio e di battaglie burocratiche per rispettare le regole e arrivare ovunque nel mondo con una produzione a chilometro zero, fatta seguendo i principi dell’enologia e della storia di un territorio, mantenendo inalterato il legame con il terroir, perché i grappoli sono sempre gli stessi: ho solo diversificato la destinazione finale”. È nata così una bevanda vegana con le bollicine, senza alcol, ottenuta da mosto d’uva fresco destinata ai mercati internazionali come gli Emirati Arabi, il Nord Europa, gli Stati Uniti e il Canada. “La proposta di Bruxelles è alquanto bizzarra - aggiunge Casonato - soprattutto per il sistema proposto che prevede di autorizzare nell’ambito delle pratiche enologiche l’eliminazione totale o parziale dell’alcol con la possibilità di aggiungere acqua anche nei vini a denominazione di origine. In questo modo si rischia di mettere in confusione i consumatori riguardo all’identità del vino italiano ed europeo con danni incalcolabili sul sistema del vino”.

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