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LO SCENARIO

Vino nel fuori casa: lo stato dell’arte, tra dubbi e consapevolezze, secondo i distributori

Tra consumi in calo, preferenze e il tema “ricarichi”, le riflessioni dei vertici di Cuzziol GrandiVini, Gruppo Meregalli, Sarzi-Amadè e Sagna
CONSUMI, CUZZIOL GRANDIVINI, DISTRIBUTORI, GRUPPO MEREGALLI, HORECA, MERCATO, SAGNA, SARZI AMADE, Italia
Vino e consumi fuori casa: lo stato dell’arte secondo i distributori italiani

Il mercato del vino, in Italia, mostra segnali di rallentamento in tutti i canali, da quello domestico al fuoricasa. È un fatto ormai conclamato. Dopo l’euforia post-Covid i consumi si sono stabilizzati, ma i prezzi sono aumentati, tanto che, nei primi 8 mesi 2025, il prezzo medio delle bottiglie è salito di oltre il 10%, a fronte, però, di un calo dei volumi. Alcune denominazioni storiche continuano a reggere, così come alcune nicchie, dove la domanda resta superiore all’offerta, ma, in generale, il quadro è complesso. Ad incidere sulla frenata del vino pesano le difficoltà economiche, tanto dei consumatori che di chi produce e vende (soprattutto per la crescita dei costi), ma anche la concorrenza di cocktail e mixology, soprattutto tra i giovani, in uno scenario globale caratterizzato da guerre, crisi economiche e salutismo. Nel calice, se soffrono di più, in generale, i rossi, i bianchi tengono botta e, in qualche caso, crescono in maniera evidente, come per l’Etna, e le bollicine continuano a fare un po’ corsa per conto loro, anche se ad un ritmo meno battente che nel recente passato. Con la consapevolezza che il futuro, anche nei consumi fuoricasa, seguirà un trend di ulteriore contrazione in termini di volumi, ma con una crescente attenzione alla qualità ed al pregio delle bottiglie che verranno stappate. Mentre il tema dei ricarichi al ristorante, estremamente complesso e delicato, che WineNews ha sollevato da tempo, e che chiama in causa tanti fattori diversi (costi di gestione che cambiano da ristorante a ristorante, scelte nella gestione del magazzino, e così via), è sempre più al centro del dibattito, in una gestione non semplice tra player diversi, ovvero produttori, distribuzione e ristorazione, che vedono in generale margini di guadagno sempre più compressi, e, di conseguenza, una minore “libertà di azione” nel rivedere posizioni e strategie. Questo non vuol dire che di vino non se ne beva più, anzi, ma la consapevolezza è che c’è un cambiamento profondo in atto nel settore, ad ogni livello, di cui chi fa impresa deve tenere conto. Quadro di sintesi delle riflessioni, a WineNews, di quattro dei maggiori player della distribuzione di vino in Italia, Cuzziol Grandivini, Gruppo Meregalli, Sarzi Amadé e Sagna, che fanno parte di Excellence Sidi, realtà guidata da Luca Cuzziol, che mette insieme 21 tra le più rappresentative e prestigiose compagnie d’importazione e distribuzione a livello nazionale (da Sagna a Gruppo Meregalli, da Cuzziol GrandiVini a Pellegrini, da Balan a Sarzi Amadè, da Vino & Design a Teatro del Vino, da Proposta Vini a Bolis, da Les Caves de Pyrene a Premium Wine Selection Pws, da Ghilardi Selezioni a Visconti43, da Première ad Agb Selezione, da Philarmonica a Spirits & Colori, da ViteVini ad Apoteca, a Ceretto Terroirs), e che, nel 2024, hanno messo insieme un fatturato di 327 milioni di euro, con oltre 2.045 agenti, nel complesso, su tutto il territorio nazionale, e oltre 2.185 aziende distribuite, di cui i due terzi stranieri.
Un giro di microfono (qui il video) che parte dai dati raccolti ad estate ormai finita, guardando ad una fine anno che è sempre fondamentale per il settore. “Il mercato è in leggera contrazione in generale - spiega Luca Cuzziol (Cuzziol GrandiVini) - ma se noi abbiamo aziende in leggera flessione, c’è anche chi cresce, e sicuramente passare da strutture professionali come siamo noi distributori aiuta le aziende ad essere più sostenute sul mercato”. “A marzo il mercato si è praticamente fermato, soprattutto per le bottiglie più importanti, c’è stato un po’ di panico sul mercato, dato dalle previsioni incerte sul turismo, ma anche dal caos sui dazi - dice Marcello Meregalli del Gruppo Meregalli - e anche aprile e maggio hanno sofferto. Poi a giugno le cose sono ripartite, almeno per noi, e ad agosto e settembre abbiamo fatto anche meglio degli anni precedenti, anche se in generale il mercato del vino è indietro rispetto al 2024”. “I fatturati tengono perché, a fronte di meno bottiglie vendute, abbiamo riscontrato un aumento del prezzo medio di oltre il 10%, ma il calo in volume c’è, e speriamo che si continui a bere sempre meglio in futuro, anche se lo si farà sicuramente meno”, aggiunge Alessandro Sarzi-Amadè (Sarzi-Amadè). “Arriviamo da un periodo di grande euforia che sono stati i due anni post-Covid - riflette Leonardo Sagna (Sagna) - che, ovviamente, hanno visto l’esplosione dei consumi, e sapevamo che non sarebbe stata sostenibile nel lungo termine. L’anno scorso abbiamo avuto un anno più “razionale” dal punto di vista dei consumi, come si sta rivelando questo 2025, con volumi simili”.
Ma se questo è il quadro generale, ci sono come sempre territori e tipologie che vanno meglio, e altri che accusano di più il colpo. “In Italia una delle denominazioni che sta soffrendo meno e che regge di più è l’Etna - dice Luca Cuzziol - ma la ragione è abbastanza pratica: sono 1.300 ettari, è una denominazione piccola e, quindi, la domanda è ancora alta rispetto all’offerta. In generale tutte le denominazioni che non sono così enormi e così segmentate reggono meglio, quelle più grandi che vanno anche nella grande distribuzione soffrono magari qualcosa in più”. “Molto bene le bollicine italiane, Franciacorta su tutte - aggiunge Marcello Meregalli - e vanno bene anche Alta Langa e Oltrepò, in particolare, ma dipende anche dai brand. Tra i grandi rossi vanno bene quelli del Piemonte, qualche cosa al Sud, e tiene bene anche l’Amarone della Valpolicella, nonostante, in generale, i vini con le gradazioni alcoliche un po’ più elevate siano meno consumati. In Toscana, dove noi siamo forti, vediamo un calo generalizzato di Montalcino perché sono mancati soprattutto i turisti. È difficile vedere italiani che a pranzo o a cena al ristorante bevono una bottiglia di Brunello di Montalcino, lo fanno molto di più gli americani e gli stranieri, in generale, che, però, sono mancati rispetto agli scorsi anni. E, parlando anche con enotecari sul territorio e in Toscana in generale, emergono anche le difficoltà nelle spedizioni di singole bottiglie negli Stati Uniti, non solo per i dazi, e, quindi, si è un po’ bloccato anche questo flusso”. In ogni caso, “come sempre nei momenti di difficoltà, chiamiamola così, sono le zone, le denominazioni e le aziende più affermate quelle che soffrono meno, quindi le denominazioni storiche di Piemonte e Toscana, per esempio, mentre altre zone che hanno meno reputazione o sono meno conosciute fanno più fatica”, dice, invece, Alessandro Sarzi-Amadè. Come conferma, in parte, Leonardo Sagna: “sicuramente le grandi zone restano quelle più vocate, le Langhe o la Toscana. Chi negli ultimi anni ha avuto un exploit è stata la Sicilia con i vini dell’Etna, ovviamente perché sono vini che ben rappresentano lo stile che il consumatore adesso cerca, all’insegna della freschezza”.
Ma, in generale, come detto, oggi in molti sottolineano il tema dei ricarichi al ristorante, a volte davvero elevati rispetto al prezzo di entrata delle bottiglie, che scoraggia i consumi. Ma se c’è chi chiede alla ristorazione di “fare un sacrificio”, il tema è complesso. “Effettivamente il problema sta sempre all’origine, perché fondamentalmente tutte le filiere distributive, tutti i passaggi hanno dei problemi dal primo all’ultimo - dice Luca Cuzziol - e noi vediamo solo l’ultimo. Come per l’Iva, per esempio, che si vede solo sul prezzo finale, e magari su una bottiglia da 50 euro in carta al ristorante è al 10%, ma nella distribuzione, “nell’asporto”, è al 22% ed è alta. Secondo me è una riflessione che devono farla tutti, devono farla i produttori che su certi territori pensano in dieci anni di rientrare in un investimento, la categoria di una serie di commercianti, compresi i ristoranti, che, giustamente, fanno il loro, ma tendono a speculare senza ragionare su un processo costruttivo, e anche la nostra categoria di distributori, anche se, però, va detto che tendenzialmente, almeno per i vini italiani, operiamo con i listini delle aziende italiane, quindi non siamo sicuramente a parte di questo fenomeno”. “Se si parla con i ristoratori diranno che sono aumentati i prezzi di partenza - aggiunge Marcello Meregalli - e quindi direi che “la colpa” è un po’ di tutta la filiera, perché ci siamo fatti prendere dal boom appunto post-Covid. Se pensiamo allo Champagne credo che, mediamente, senza fare nomi più o meno illustri, sarà aumentato del 30% o forse di più dal 2019 ad oggi, mentre gli stipendi, l’inflazione, non sono aumentati del 30%, e, quindi, probabilmente, la colpa è un po’ di tutta la filiera. Di sicuro il ristorante deve decidere se far girare più il proprio prodotto, e quindi marginare un po’ meno sulla singola bottiglia, ma di più sulla quantità, oppure se continuare a fare ricarichi più elevati su meno bottiglie iconiche”. “Se si riuscisse a offrire i vini a un prezzo inferiore ci sarebbe una maggiore rotazione - dice Alessandro Sarzi-Amadè - ma, ovviamente, va tenuto in considerazione anche come viene offerto, viene servito, e viene proposto il vino in ristorazione. Ci vuole competenza, ci vuole qualità nel servizio, in modo che si giustifichi il prezzo richiesto al consumatore, poi, certo, vendere due bottiglie piuttosto che una, è sempre meglio, ed è ovvio che un prezzo più basso lo favorisca”. “Capisco che questi aumenti arrivano proprio dagli anni 2022-2023, del boom post-Covid, quando, soprattutto su certe tipologie o etichette, non c’erano abbastanza bottiglie per tutti. Adesso che le quantità sono più disponibili, è anche un nostro suggerimento cercare di abbassare un po’ il prezzo, andare più incontro al consumatore con l’obiettivo sempre di vendere la seconda bottiglia”, dice, invece, Leonardo Sagna.
Eppure, anche in mezzo a tanta complessità, si cerca di guardare al futuro con fiducia. “Bisogna avere la capacità di leggere il mercato, bisogna ragionare tenendo conto che stiamo perdendo i consumatori del presente e del prossimo futuro, che sono i giovani, e lavorare su questo, rendendo il vino cool e non un prodotto “vecchio e da vecchi”. Questa è una sfida epocale - dice Luca Cuzziol - però il ragionamento lo dobbiamo fare in tutti i settori, anche nel vino”. “Quello che ci aspettiamo è che, probabilmente, anche nel 2026 si continui come nel 2025, speriamo di nuovo con un incremento di volumi nei consumi, ma come flusso di vendite la seconda parte dell’anno ritornerà ad essere quella più importante, il periodo natalizio in particolare, soprattutto per le bottiglie più di valore elevato”, commenta Marcello Meregalli. “Non sono sicuramente preoccupato, anzi sono molto fiducioso. Sono certo che chi lavora bene, chi produce vini di qualità non avrà grosse difficoltà, e, secondo me, non le ha neanche in questo momento. La ristorazione penso che debba continuare a fare adeguatamente il suo lavoro, perché agli italiani piace uscire, piace la convivialità, piace apprezzare un buon pasto fuori fuori di casa”, aggiunge Alessandro Sarzi-Amadè. “A me dà fiducia vedere come il mercato quest’anno abbia resistito nonostante tutte le difficoltà che ci sono e nonostante tutte le notizie negative che purtroppo abbiamo attorno, e questo credo sia un segno di grande positività”, conclude Leonardo Sagna.

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