“Come tutti, fin da bambino ho sottovalutato il mondo contadino, considerandolo povero e marginale. Oggi, l’idea che il Prosecco e Giotto, ma penso anche alle Langhe, siano entrambi Patrimonio dell’Umanità, vuol dire che vivere in quei luoghi è un orgoglio culturale, e la consacrazione di ciò che diceva, poeticamente, Tonino Guerra, e che Carlin Petrini, facendone una filosofofia, e Oscar Farinetti, portandola nel mondo, hanno contribuito a diffondere. Oggi il vino non è più un concetto popolare, ma universale, e la sua è una cultura di massa. I valori legati al vino sono così elevati che ne fanno un bene dell’umanità, e con l’arte rappresentano un’unica idea di civiltà e di cultura. Un tempo c’erano artisti come Michelangelo ed i contadini producevano vino, oggi ci sono artisti sedicenti ma grandi produttori di vino”. Parole di Vittorio Sgarbi, in una Lectio Magistralis sul vino nei secoli della storia dell’arte a “Benvenuto Brunello” a Montalcino, l’anteprima di un’annata definita dalla critica come un “capolavoro”, la 2015, e dell’ultima vendemmia, la 2019, a 5 stelle, celebrate domani nell’iconica piastrella d’autore dedicata al Brunello. Che, per il celebre critico, “è come Raffaello (che porta a teatro in una delle sue magistrali performance), perché io posso dire “c’è Raffaello e c’è il Brunello”, e posso parlare del Brunello “da” Montalcino, uno dei vini simbolo delle eccellenze italiane, conosciuto in tutto il mondo, come di Michelangelo Merisi da Caravaggio, uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, che deve il suo nome al paese di origine”. E di un territorio del vino come Montalcino Sgarbi parla nel suo libro “Dell’Italia. Uomini e Luoghi” (Rizzoli), scritto quasi 20 anni fa, a proposito del vento che spazza i vigneti e la collina, come la sua più insospettabile particolarità.
“Tutto quello che diciamo dell’arte, possiamo dirlo del vino, perché il vino è un’opera d’arte straordinaria che riguarda la vita e la terra, come la vita e come l’arte”, dice Sgarbi, introducendo il suo excursus tra i capolavori dell’arte in cui il vino è protagonista, da sempre. A partire dal 1750 secoli a. C., come nelle “Scene di Vendemmia” nella Tomba egiziana di Nakht a Sheikh Abd el-Qurna con i contadini che raccolgono l’uva, in un rapporto diretto e bellissimo con il mondo della natura. Con la “Vendemmia”, raffigurata con dettagli sublimi e raffinatezza assoluta, nella scultura medievale del Duecento, come nella cattedrale della mia città, Ferrara, dal Maestro dei Mesi. Ma tra gli archetipi, c’è anche Mantegna, il pittore dell’antico per eccellenza nel Quattrocento, secolo del Rinascimento, con i suoi celebri “Baccanali”, che rappresentano Bacco nel momento dell’ebrezza. Rinascimento in cui tra i capolavori assoluti, c’è il “Bacco” di Michelangelo, che sembra quasi ballare ispirato dall’ebrezza del vino. Nudità più profana, è quella dell’“Ebrezza di Noè” del Bellini, siamo nel Cinquecento e di fronte ad un pittore veneziano che ebbe certo più fortuna del contemporaneo Carpaccio, prestando il suo nome, per opera del patron dell’Harry’s Bar di Venezia, Arrigo Cipriani, ad un cocktail invece che alla carne cruda, classico esempio di come “un piatto si sia mangiato il pittore”, scherza Sgarbi. Che tra i più mirabili esempi e pittori, cita anche Tiziano, ed il suo “Baccanale”, con un nudo femminile in ebrezza ma meraviglioso, capace di dare armonia anche al disordine dei sensi. Senza dimenticare le tante raffigurazioni dell’“Ultima Cena”, con Sgarbi che cita Leonardo, ma accanto a quella di Tiziano, mostra quella del Pontormo che raffigura una scena quasi domestica.
Ma ci sono anche le meravigliose raffigurazioni del passaggio agricolo, come l’“Autunno” con la vendemmia del Bassano. Ed, esempi eccelsi di pittura in presa diretta, anche i grandi naturalisti non possono non raccontare il vino nella quotidianità, come fa il Carracci nel “Ragazzo che beve”, raffigurato con la stessa semplicità del più celebre “Mangiafagioli”. Bellissimo, per il critico, anche il grottesco “Bacco” del Bastianino, ma su tutti, c’è un maestro assoluto, del realismo e anche nel raffigurare il tema del vino, e che lascerà l’impronta per tutto il Seicento: Caravaggio, il cui “Bacco” è “un quadro meraviglioso - dice Sgarbi - anche con la sua aria strafottente, prima natura morta moderna, replicata anche nella “Cena in Emmaus”, con la sua capacità di cogliere l’attimo e il momento decisivo come un fotografo”.
E il vino è anche seduzione come nella “Cena con suonatore di liuto” del fiammingoVan Honthorst, che raffigura una piacevole serata. Pittore meraviglioso e primo caravaggesco, anche Ribera raffigura “Sileno” ma più vecchio e con assoluto realismo, perciò bellissimo. All’opposto, c’è il classicismo di Poussin, il più grande pittore francese del Seicento, e del suo “Baccanale” raffigurato con una solennità che non è certo propria della scena, fa notare Sgarbi. Genio dei sensi, il grande Rubens raffigura “Bacco” con ironia, ma il Seicento, è ricchissimo di testimonianze della presenza del vino dell’arte, da Vermeer a Luca Giordano, per citare i più famosi, fino al “Bacco fanciullo” di Guido Reni, classico ed idealizzato all’opposto del realismo caravaggesco.
E sulla scia del Classicismo, il connubio è floridissimo anche nel Settecento, dalla “Baccante e satiri” di Sebastiano Ricci, ma si torna anche a raffigurare la quotidianità, ne “Gli spillatori di vino” di Giacomo Ceruti e ne “L’allegra coppia” di Pietro Longhi. Di Canova non conosciamo opere con il vino, ma quelle dei suoi allievi come l’“Ammostatore” di Lorenzo Bartolini e Luigi Bienaimè con la “Baccante danzante”, nell’Ottocento. E si arriva ai capolavori della modernita e dell’Impressionismo come “Il bevitore” di Cézanne, e come, e siamo all’inizio del Novecento, l’“Autunno in Versilia” di Plinio Novellini, “il D’Annunzio della pittura”. Fuori dagli schemi delle avanguardie perché tradizionalista, c’è anche l’“Autunno” di Tito, e, in pieno Futurismo, Depero con “Il Bevitore di Anacapri”. In epoca fascista, anche Gisberto Ceracchini, “nuovo Giotto non ancora rivalutato”, raffigura grappoli d’uva nel “Riposo”. Infine, conclude Sgarbi in questo viaggio unico tra i capolavori dell’arte italiana, c’è Guttuso con la sua “Natura morta con la scure”, scomposta e cubista, tra avanguardia e tradizione. Tremila anni di storia, di arte e di vino. Fin ad oggi.
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