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INCHIESTA WINENEWS

Vino e prezzi, i listini delle cantine a + 10/15% per coprire i costi. Ma è muro con la gdo

Le voci di produttori, Consorzi e gdo: forte impasse sui prodotti entry level (ma non solo), con margini già ridotti al minimo. Va meglio nell’#horeca
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Vino e prezzi, i listini delle cantine a + 10/15% per coprire i costi. Ma è muro con la gdo

Attesi e inevitabili, dopo mesi e mesi di aumenti di costi energetici e, soprattutto, di materie prime “secche”, vetro in testa, stanno arrivando anche gli aumenti dei listini delle cantine italiane, in una fase dell’anno in cui si vanno definendo i contratti con la grande distribuzione organizzata. Difficile individuare una forbice percentuale precisa, in un panorama tanto vasto e variegato come quello del vino italiano, dove si parte da prezzi franco cantina anche inferiori a 2 euro a bottiglia, per arrivare a diverse decine di euro “a tappo”. Anche se il range più gettonato pare quello che va tra il +8% ed il +15%. Che, a detta di molti, è meno di quanto servirebbe per assorbire l’aumento dei costi di produzione (che, nel 2022, secondo Unione Italiana Vini - Uiv, hanno visto un aumento di 1,5 miliardi di euro nel complesso), con il vetro che, tra la crescita del 2022 e i nuovi aumenti arrivati ad inizio 2023, è praticamente raddoppiato, mentre poco meglio va con i cartoni per le spedizioni, la carte per le etichette, capsule, tappi e trasporti. In ogni caso, anche aumenti percentuali dei prezzi a bottiglia come quelli paventati, hanno impatti diversi a seconda delle variabili. Sono un problema enorme soprattutto sui vini di prezzo più basso, dove il margine a bottiglia è rappresentato da poche decine di centesimi di euro, e con una Gdo, principale destinataria di questi vini, restia ad accettare rialzi che andrebbero riversati al consumo, con la paura (condivisa con i produttori) di vedere un calo dei consumi in tutto quello che è l’“entry level”. Mentre è una difficoltà da gestire, ma anche un’occasione per alzare un posizionamento dal quale poi cercare di non arretrare in futuro, per i prodotti di fascia più alta, rivolti soprattutto a ristorazione e horeca, e dove l’aumento di qualche euro a bottiglia, se ben spiegato, raccontato e motivato, sembra essere accettato senza particolare difficoltà dal mercato. È il quadro di sintesi estrema, in un panorama quanto mai complicato, tracciato da WineNews, che, su un tema caldissimo, ha sentito oltre 50 produttori diversi, tra cooperative, piccole cantine e realtà private che lavorano su numeri importanti e su mercati diversi per canale e posizionamento, ma anche player della distribuzione e rappresentanze della filiera.
Se molti produttori di territori di grande pregio e di vini che finisco soprattutto all’estero e nel canale di ristorazione ed enoteche, come quelli che abbiamo sentito in questi giorni, dalle diverse anteprime legate ad Amarone della Valpolicella
(con vertici di cantine come Pasqua, Monte del Frà, Santi del Giv - Gruppo Italiano Vini, Tinazzi, Novaia, Roccolo Grassi, Le Guaite di Noemi e Valentina Cubi), Langhe (con e testimonianze di Cordero di Montezemolo, Cascina Chicco, Angelo Negro, Giuseppe Cortese, Vajra, Malvirà, Palladino, Ettore Germano, Adriano Marco e Vittorio, Albino Rocca, Piazzo Commendatore Armando e Michele Chiarlo), e non solo, sottolineano come di fatto in questo segmento non ci siano poi troppe resistenze o difficoltà, altri, più focalizzati sulla grande distribuzione, o magari con linee diverse di prodotto che vanno su più canali, danno una visione più complessa del momento.
A parlare, da Montalcino, è Rodolfo Maralli, Sales & Marketing Director Banfi, azienda leader del territorio, la cui gamma di prodotto spazia dai grandi Brunello di Montalcino a vini più per il largo consumo. “Gli aumenti dei prezzi fanno parte della vita di un’azienda, ci sono sempre stati, anche se Banfi si è sempre distinta per aumenti medi sensibilmente più bassi dell’inflazione Istat, perchè cerchiamo sempre di fare economie interne. Negli ultimi 10 anni la media è stata del 2% massimo all’anno. Questo 2023 è un anno in cui sentendo mercato, forza vendita e distributori, tutti si aspettavano aumenti più importanti. Il vino ha subito aumenti enormi su vetro in primis, carta, trasporti, energia e così via. Quindi siamo stati costretti a riportarli sul listino 2023, che è globale, uguale per tutto il mondo, e abbiamo fatto un aumento che va dal minino del 5% al massimo del 10%, a seconda del prodotto. Come scelta, abbiamo cercato di aumentare un pochino meno i prezzi di prodotti di fascia media ed entry level, piuttosto che su quelli di fascia più alti - spiega Maralli - anche se a livello economico sarebbe stato più razionale fare il contrario. Ma abbiamo preferito appesantire di meno la fascia più bassa della produzione, che ha meno margini. In generale, la gdo ha messo dei paletti, ha detto che non accetterà grandi aumenti, mentre con enoteche e ristoranti è diverso. Spesso gli stessi enotecari, e anche i ristoratori, sono piccoli produttori di vino, quindi sanno che non è speculazione, non sono ovviamente contenti ma capiscono la situazione, e da quello che ci dicono i nostri agenti e distributori, non ci sono particolari reazioni negative. Sul fronte della gdo, se non potremo trasferire l’aumento dei costi sui prezzi, dovremmo ridurre drasticamente la leva promozionale, come per le promozioni che si fanno solitamente a Pasqua o a Natale. Ma staremo a vedere”. Dalla Toscana al Veneto, dove arrivano le testimonianze di due cantine di riferimento del territorio, in questo caso cooperative, ma anch’esse con linee di prodotto diverse, che vanno su canali diversi. Come la Cantina Valpolicella Negrar, che mette insieme 700 ettari di vigneti nella Valpolicella Classica, curati da 230 soci. “Stiamo rinnovando i contratti in queste settimane - spiega il dg Daniele Accordini - e stiamo un po’ aiutando sia la ristorazione che la gdo ad assorbirli. Siamo tra l’8% ed il 12%, a seconda del prodotto, in più noi oltre all’aumento di materie secche ed energia abbiamo anche da gestire gli aumenti dei prezzi del vino sfuso. L’Amarone, per esempio, è passato da 7,5 euro al litro ad 11 euro. I primi rinnovi con qualche aumento li abbiamo raggiunti con una certa difficoltà, il mercato li assorbe, per ora, ma, entro fine anno, ci aspettiamo un calo delle vendite del -10%, perchè in generale c’è meno disponibilità economica nelle famiglie. La ristorazione cresce, ma non compensa il calo nella gdo. Gli aumenti che portiamo a listino, comunque, non copriranno i costi, che speriamo inizino a scendere a partire da maggio-giugno. Pochi giorni fa abbiamo avuto un altro aumento del vetro del +20%, dopo il +55% del 2022. E chiaramente soffrono di più i vini entry level, perchè in certe fasce di prezzo sono importanti anche i 20 centesimi. Speriamo che i prezzi energetici ritornino ai prezzi pre-pandemia, o che ci si avvicinino. Anche perchè i prezzi di alcune materie secche oggi sono ingiustificati, visto che il prezzo del gas, rispetto a qualche mese fa, è calato. E poi - aggiunge Accordini - c’è un altro aspetto: i prezzi prima erano annuali anche sulle materie secche, ora si fanno accordi trimestrali, ed è tutto più difficile, anche perchè i contratti con la gdo, invece, restano annuali, e si lavora in un clima di grande incertezza. Speriamo che la guerra finisca e che questo aiuti il ritorno alla normalità, perchè è difficile fare dei prezzi su marginalità attese che rischiano di essere stravolte dai cambiamenti. All’estero - sottolinea ancora Accordini - andiamo bene negli Stati Uniti, che assorbono bene i rincari, per via dell’euro debole, mentre altri mercati soffrono tanto, come Germania e Uk, mentre la sorpresa è la Russia che sta aumentando molto, per noi ha fatto quasi +50% nel 2022, e questo me lo dicono anche tanti altri colleghi del territorio. Un aumento difficile da spiegare, inaspettato in questi termini, anche se negli ultimi anni abbiamo lavorato molto su quel Paese, prima della guerra”.
Insomma, un quadro di grande incertezza che arriva peraltro dopo anni difficili, come ricorda Wolfgang Raifer, direttore Cadis1898, come è stata appena ribattezzata la Cantina di Soave, che mette insieme 6.400 ettari di vigneto e 2.000 soci viticoltori. “Il mondo della produzione di vino la produzione si è trovato di fronte ad una situazione a fine 2021 che era imprevedibile, abbiamo fatto i listini tenendo conto dei soliti aumenti ridotti perchè il mercato li recepisse senza impattare sui consumi, poi è successo tutto, e abbiamo subito aumenti di materie prime e costi per tutto il 2022, e anche ad inizio 2023. Il vetro è aumentato anche di oltre 100% più rispetto al 2021, e quindi tutto questo andava calcolato. I listini 2023 tengono conto di tutti questi aumenti. Questo - sottolinea Raifer - comporta difficoltà nel relazionarsi con il mercato, che non si aspettava aumenti così forti, e vale un po’ per tutti i canali. In percentuale su una bottiglia da 10 euro l’aumento comunque è modesto, mentre sul primo prezzo si parla anche del 20%. E non è semplice, perchè su certe fasce di prodotto scaricarli sui prezzi finali, al consumatore, vuol dire perdere volumi di vendita. La filiera, a partire dai viticoltori, che hanno visto aumentare i costi di tutto, dai materiali di impianto al concime, dall’energia ai prodotti antiparassitari, è tra incudine e martello, perchè, da un lato, c’è un mercato che non vuole accettare aumenti dei listini, dall’altro, i produttori che devono fare i conti con costi di produzione molto più alti di un anno e mezzo fa.
Insomma, in generale, non possiamo dire che sia un bel momento per il settore, almeno per una buona parte di esso. I consumatori poi si sono visti aumentare i prezzi di tutto, e sono diventati più attenti, ed è chiaro che anche il vino, che è un bene voluttuario, sarà colpito”. A confermare il sentiment è anche Enrico Gobino, direttore marketing e comunicazione del gruppo Argea, realtà nata dall’unione di due grandi realtà come Botter e Mondodelvino. “Non è una situazione semplice, in linea generale. Dare numeri precisi è ancora difficile, veniamo da un 2022 che, a causa degli aumenti, ha generato delle perdite di volumi, soprattutto nel canale moderno. L’horeca, sui cui vanno prodotti diversi, premium, con margini diversi, e che ha più passaggi, gli aumenti può digerirli meglio, il mercato ha reagito bene. Inoltre si deve tenere conto che c’è una maggior propensione da parte dei consumatori al risparmio, e ci attendiamo un primo semestre in linea con la fine 2022. Secondo i dati Nielsen, c’è minor propensione al consumo, si pensa a ridurre le spese all’interno dei beni di consumi, ed il vino, che è voluttuario, è una delle prime categorie che si è disposti a sacrificare, come il fuori casa”. A parlare, dalla Sicilia, una delle più grandi cooperative della Regione, con 6.000 ettari di vigneto e 2.000 soci, guidata da Giuseppe Bursi. “Sulla nostra linea horeca, Mandrarossa, stiamo facendo aumenti del +12/15%, e gli agenti ci dicono che viene accettato senza problemi. In gdo la cosa è più complicata, stiamo andando a chiudere i contratti ora, vedremo quello che succede sul mercato. Che ci sia la necessità di aumentare i listini è evidente a tutti, perchè i costi di energia, tappi, vetro cartoni e così via sono aumentati tra il +20% ed il +80%. La gdo deve capirlo, ma, in questo canale, pesano anche pochi centesimi, e stiamo trattando in questi giorni. Noi abbiamo anche deciso, sulla linea Settesoli, di fare anche un restiling di etichette e bottiglie, per alzare un po’ la qualità dell’offerta nella grande distribuzione, anche sull’aspetto estetico, per dare un segnale di attenzione al cliente. In Europa, in generale, c’è meno opposizione agli aumenti di listino, ci sono segnali incoraggianti su tutti i brand”.
Se questa è la visione di alcune aziende di primo piano, più o meno sulla stessa linea sono alcuni dei più grandi consorzi del vino italiano, denominazioni che, per valore e per volumi, “fanno mercato”. Come il Chianti, la denominazione rossista più grande della Toscana, con i suoi 14.000 ettari di vigneto, che, nel 2022, ha messo sul mercato 616.506 ettolitri di vino (dati Avito): “le aziende gli aumenti li hanno fatti già da novembre 2022 - commenta il presidente del Consorzio Vino Chianti, Giovanni Busi - ma la Gdo non ne vuol sentir parlare: se siamo sul 3-5% in qualche modo li accetta, oltre no. Ma il problema è che tu fai un prezzo di listino, poi aumenta di colpo il prezzo delle bottiglie e così via, e quindi non si riesce a pianificare e ad andare avanti. Il problema è capire quando questo aumento dei costi di produzione, dei prezzi energetici, del vetro, delle materie secche si fermerà. Sull’export, dico che i problemi che abbiamo in Italia non li abbiamo solo noi, non è un bel momento nel mondo. Gli Usa vanno un po’ meglio per via del dollaro forte, ma non brillano. Se si parla di bottiglie da 30 euro, un +10/15% si assorbe in un modo o nell’altro, chi vende a 2,5-3 euro a bottiglia gioca sui centesimi, i margini si assottigliano, ed un +15% su questa cifra non lo accetta nessuno. È un momento difficile che dobbiamo superare, quello che aiuta è che il mercato continua a gira, il flusso di cassa si mantiene e quindi si sta sul mercato”. Dal Chianti al Chianti Classico, che, per sua vocazione, con i suoi 35-38 milioni di bottiglie prodotte ogni anno, in media, è più orientato al canale della ristorazione e delle enoteche: “gli aumenti dei listini ci sono e li stanno facendo tutti. Nel territorio - ha detto il presidente del Consorzio del Chianti Classico, Giovanni Manetti - siamo nell’ordine del +7/8%, o comunque non oltre il 10%. Ristorazione ed enoteche stanno rispondendo bene, mentre qualche difficoltà in più c’è sulla grande distribuzione ovviamente. All’estero, in particolare in mercati come gli Usa, che per noi è il più importante in assoluto, in questo momento ci aiuta il dollaro forte sull’euro”. Dalla Toscana al Veneto, e segnatamente sul Prosecco Doc (che, nel 2021, ha visto una produzione certificata di 4,7 milioni di ettolitri, dati Valoritalia), è laconico il commento del direttore del Consorzio Luca Giavi: “i rincari previsti sui listini sono tra il +10% ed il +15%, e c’è scarsa disponibilità ad accoglierli, da parte di tutti i canali. D’altronde veniamo da rialzi dei costi significativi per due annualità consecutive, considerando il 2022 e l’inizio del 2023”. Preoccupazione arriva anche dalla gigantesca Doc Delle Venezie (quasi 24.000 ettari tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, per 1,6 milioni di ettolitri di vino imbottigliato nel 2022), che vuol dire soprattutto Pinot Grigio, come spiega il presidente del Consorzio Albino Armani. “Ci sono vari aspetti da considerare: il prezzo del vino sfuso è cresciuto sui mercuriali delle Camere di Commercio del 10-15% sul 2022, e questo sarebbe un fatto positivo. Ma c’è anche il tema del vetro, che quasi raddoppiato, siamo a +20-25 centesimi per una bordolese che costava l’anno scorso 30-35 centesimi: non si potrà contenere l’aumento dei costi, che ci sono su tutti i fronti: irrigazione, trattamenti, materie prime ed energia. Gli aumenti dei listini che la gdo si attende sono del +4/5%, quelli che sarebbero realmente necessari per gestire l’aumento dei costi si aggirerebbero sul +10-15%. È tutto da vedere, ora c’è un braccio di ferro tra produzione e gdo, speriamo in una dialettica intelligente, considerando che forse, sul fronte dei generi alimentari, il vino è quello che ha visto i prezzi a scaffale crescere di meno in questi mesi. Con i margini, sui prodotti entry level, siamo già all’osso, non si può spingere oltre. Quando si sale, nella fascia premium, nell’horeca e nella ristorazione, invece, le cose sono più semplici. All’estero, gli Usa stanno tenendo, c’è un rinnovato potere di acquisto, c’è un sentiment diverso rispetto all’Europa, dove i salari sono bloccati e ci sono più difficoltà”.
A fare una sintesi di filiera, nei giorni scorsi, è stato Vittorio Cino, dg Federvini. “Il mondo del vino - ha detto - sta resistendo agli aumenti che deve subire, alcuni poco giustificati oggi, come quelli sul vetro. I medio piccoli produttori sono quelli più in difficoltà, ma si deve lavorare tutti insieme. Il vino è aumentato meno di tutti gli altri prodotti in questi mesi, ma non può perdere ancora marginalità. Serve un tavolo tra produttori e gdo, ognuno deve fare la sua parte”. Un quadro complicato dunque, soprattutto in gdo. La cui voce è rappresentata, in questa nostra panoramica, da Francesco Scarcelli, Responsabile Beverage Coop Italia, tra i leader della gdo tricolore (con un fatturato 2021 di poco inferiore ai 15 miliardi di euro, di cui il 90% dal comparto alimentare). “Le cantine stanno proponendo degli aumenti di listino, noi stiamo valutando come sta andando il mercato, che, nel 2022, si è chiuso con un calo delle vendite in quantità, valore (-4,6% sul 2022, a 2,8 miliardi di euro, secondo i dati Iri analizzati da WineNews) e, soprattutto, con marginalità ridotta anche per la distribuzione, perchè non riusciamo a riversare tutto al consumatore. Alcuni costi, alcune variabili, a partire dell’energia, sembrano in calo, quindi vogliamo un attimo capire cosa succede. L’anno scorso abbiamo assorbito più inflazione di quanta ne abbiamo riversata al consumo. Non abbiamo altri margini, tutti gli aumenti che arriveranno dovremo riversarli sul consumatore, ed il rischio diretto è un calo dei consumi di vino. Il problema vale soprattutto per i prodotti “entry level”, ma non solo, perchè tutti fanno i conti con un ridotto potere di acquisto. Oggi il vino non è tra i primi posti nella lista della spesa degli italiani”.

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