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IL FUTURO NON È UTOPIA

Slow Food: “il cibo riconduce l’uomo alla terra, ma è anche cultura, condivisione, piacere sensuale”

Ecco il “Documento di Roma” per un “nuovo umanesimo”. Carlo Petrini: “il sottotitolo è il diritto al piacere”. Barbara Nappini riconfermata presidente

“Il cibo è l’elemento che riconduce gli esseri umani alla terra, al suolo, all’acqua, alla biodiversità, ma è anche cultura, condivisione, piacere sensuale. È una lingua che consente di conoscere il mondo in profondità, scambiare idee, provare curiosità ed empatia per la diversità, dialogare con il prossimo, accoglierlo e curarlo”. Ecco la “nuova definizione” contenuta nel “Documento di Roma - Un’Altra Idea di Mondo”, frutto dell’Assemblea Nazionale Slow Food Italia, il più importante movimento mondiale che promuove il cibo buono, pulito e giusto, fondato nel 1986 da Carlo Petrini a Bra, e che si è chiusa, ieri, alla Fao a Roma, con la riconferma della presidente Barbara Nappini.
“Siamo qui oggi alla Fao e ogni giorno sui territori perché ci piace stare nell’Associazione, perché farne parte è un modo di raggiungere la nostra felicità - ha detto il gastronomo Carlin Petrini (con il quale WineNews, invitata a seguire i lavori, si è confrontata “a tu per tu” in un’intervista online domani) - il sottotitolo di Slow Food, da più di 30 anni, è il diritto al piacere, un piacere che non è solo legato al cibo ma anche alla capacità di generare democrazia, partecipazione. Papa Francesco, in uno dei nostri ultimi incontri, mi ha chiesto di mantenere la nostra dimensione di azione dal basso, perché per fare in modo che le cose cambino dobbiamo continuare a operare con gioia e letizia, lavorando con la gente. E questa dimensione di intelligenza affettiva e gioiosa anarchia è quella che vediamo ogni giorno, in ogni angolo del mondo in cui è presente Slow Food. E il nostro impegno non può non guardare a quanto accade nel mondo, in tutti i conflitti e, in particolare, in Congo dove siamo attivi con i giovani che lavorano negli “Orti Slow Food”, e in Palestina, dove stiamo raccogliendo fondi per costruire una scuola”.
Nel “Documento di Roma”, Slow Food sottolinea come “oggi il mondo pare in caduta libera verso il peggio. Le guerre si sono moltiplicate, si fabbricano più armi, autoritarismo e populismo minacciano tutte le democrazie, la crisi climatica sta toccando punti di non ritorno, il sistema alimentare è sempre più concentrato nelle mani di poche multinazionali, il progresso tecnologico e digitale non sembra essere funzionale al benessere dell’umanità, ma ad accelerare ancora di più il ciclo produzione-consumo-scarto (sia di beni materiali, sia di idee e contenuti), confondendo comodità con sicurezza, possesso con felicità”. Il risultato “è un degrado planetario - ambientale, climatico, sociale e culturale - che produce malessere, malattia, ingiustizia, infelicità”.
Questo significa che le idee di Slow Food hanno perso il loro senso? No di certo. Significa che Slow Food ha colto i segni della crisi attuale prima del tempo: non sempre ha trovato le risposte, ma di certo ha saputo porre le giuste domande. “Il cammino fatto dalla Chiocciola fino a oggi, insieme a contadini, pastori, pescatori, insegnanti, cuochi, attivisti, artisti, scrittori, giornalisti, cittadine e cittadini, ha generato e arricchito una filosofia consapevole del passato e delle radici, ma anche capace di guardare avanti, al futuro, con e per le prossime generazioni. Una filosofia che riscopre e pratica il limite, ma non rinuncia all’immaginazione, alla gioia e nemmeno all’utopia”, per poter riconoscere, dare voce, spazio e dignità a chi incarna “Un’Altra Idea di Mondo” secondo Slow Food.
La crisi globale esige, infatti, “un radicale cambio di paradigma. Per uscire dal miope antropocentrismo che ha posto l’essere umano al di sopra di tutto, è sempre più evidente l’urgenza di un nuovo umanesimo, che recuperi la dimensione più profonda dell’umano e riconosca la sua intima connessione con la natura. Un umanesimo fondato su una ecologia integrale che ci chiede di essere umili e consapevoli: animali tra gli animali, fatti quasi totalmente di acqua, dipendenti dalle piante per l’ossigeno e dalla terra per il cibo”. E la ragione per cui avere a cuore il futuro, sono i giovani per i quali perseguire una durabilità che garantisca loro una vita di pace e prosperità: “per questo servono i loro occhi, i loro linguaggi e la loro visione. Per questo è urgente la loro partecipazione, il loro impegno, con la loro irruenza gioiosa. Per questo vanno riannodati i fili tra i saperi delle diverse generazioni. Per questo la trasmissione di valori e saperi ai giovani è una responsabilità imprescindibile della famiglia, della scuola e della società intera che non si può sottrarre a questo compito”, si legge nel “Documento di Roma” dove il significato delle parole di Slow Food è affidato al pensiero di tanti grandi intellettuali, dalla biodiversità che la Repubblica Italiana tutela secondo l’Articolo 9 della Costituzione, alle radici che sono frutto degli incroci per lo storico dell’alimentazione Massimo Montanari, dal cammino dell’umanità cantato emblematicamente da Francesco Guccini ne “Il vecchio e il bambino”, alla povertà che è assaporare un cibo per lo scrittore Goffredo Parise, dal consumismo ciecamente estraneo alle scienze umane secondo il poeta Pier Paolo Pasolini, al collasso del tardo capitalismo per il teorico della cultura statunitense Fredric Jameson, dal limite da porre alla velocità secondo l’attivista Alex Langer, alla crescita che è equilibrio stando al Rapporto del Mit di Boston, alla semplicità della natura verso cui la nostra sapienza è impotente secondo la poetessa Emily Dickinson, dal degrado planetario già descritto dal poeta Italo Calvino, al suolo maltrattato dagli uomini come canta Manu Chao, dal lavoro che è manuale e creativo secondo lo scrittore Mario Rigoni Stern, alla globalizzazione che ha un terribile bisogno di luoghi per il geografo Franco Farinelli, dalle terre alte ferite dallo spopolamento secondo lo storico Rossano Pazzagli, all’uomo che è ciò che mangia per il filosofo Ludwig Feuerbach, dall’educare nella scuola che è il mondo intero secondo lo scrittore Gianni Rodari, alla bellezza come arma contro la natura secondo il giornalista vittima di mafia Peppino Impastato.
Giovani presenti nella platea “variegata e plurale, con ragazze e ragazzi di ogni età che sono venuti qui alla Fao con la ferma volontà di contaminarsi nel necessario rispetto delle differenze” e “che sono la nostra prima grande ricchezza. Con gioia avete accolto questa sollecitazione. Avete reso l’idea della strada in cui siamo, ed è una strada che vale la pena percorrere, per aprire altri sentieri nuovi. Non sappiamo dove siamo diretti ma abbiamo la volontà di capirlo insieme”, ha detto, in chiusura dei lavori, Barbara Nappini confermata presidente Slow Food Italia (e che abbiamo intervistato), che ha eletto il nuovo Consiglio Direttivo, di cui fanno parte Federico Varazi, con la carica di vicepresidente, Luca Martinotti, Francesco Sottile e Raoul Tiraboschi, e che, come primo atto formale, ha voluto esprimere solidarietà e sostegno verso Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati che “è stata sanzionata per aver fatto bene il suo lavoro, per non aver taciuto. E noi di Slow Food vogliamo essere sempre a fianco delle voci libere”. “Tra quattro anni, il panorama sarà ancora più bello e gioioso, anche soltanto perché noi lo abbiamo sognato insieme. Questi due giorni ci hanno regalato interventi intensi, che hanno saputo misurarsi con un titolo audace: “Un’Altra Idea di Mondo””, ha ricordato Nappini, in riferimento alla partecipazione all’Assemblea della Chiocciola, accanto agli interventi di oltre 50 delegati guidati dal presidente Slow Food, Edie Mukiibi, del Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida (con il quale abbiamo parlato dei temi di maggiore attualità per il settore), del “padrone di casa”, Maurizio Martina, vice dg Fao, Mariagrazia Mammuccini, presidente FederBio, e Stefano Ciafani, presidente Legambiente - con i quali la Chiocciola ha rinsaldato l’alleanza per agevolare la transizione ecologica, mettendosi a fianco degli agricoltori - e di personalità come Stefano Bartolini, economista e docente all’Università di Siena (la nostra intervista online nei prossimi giorni).
Ma anche come Luciana Castellina, politica, giornalista, scrittrice e attivista (la nostra intervista online nei prossimi giorni), che ha incitato a “fare una grande campagna per il ritorno dei giovani al mestiere del contadino spiegando che è oggi la cosa più moderna che ci sia. Perfino più moderno dell’astronauta, sicuramente più decisivo, perché il nostro avvenire non dipende dalla coltivazione dei pomodori nello spazio, ma dalla salubrità della terra e dal preziosissimo lavoro di rammendo dei territori che fanno i contadini e che per questo devono essere valorizzati. Per questo andrebbe introdotto un “reddito di contadinanza”. Come si può fare? Anche portando di nuovo la terra e l’agricoltura nei grandi agglomerati urbani, perché nelle grandi città non ci sono solo le cose belle, c’è anche tanta miseria, soprattutto nelle periferie. E poi, dobbiamo, lavorare per superare la crisi della democrazia, coinvolgendo i giovani a essere protagonisti dei loro territori, imparando ad autogestire pezzi della società, beni comuni, che non sono né statali né privati, ma sono della collettività. Dobbiamo fare questa battaglia per cambiare la gerarchia della felicità, che non può essere possedere tutti i prodotti superflui che la pubblicità ci vuole imporre, ma lavorare per rendere la nostra vita più felice”.
Per Gaetano Giunta, fisico teorico, esperto di economia sociale e Segretario generale della Fondazione di Comunità di Messina - Distretto Sociale Evoluto, “il futuro da ricercare è esprimibile con una parola “Eutopia”, che dice di un mondo più bello e possibile. In un contesto globale in pieno mutamento climatico e dove le diseguaglianze hanno superato quella soglia di prossimità necessaria per qualunque forma di sviluppo umano e per lo stesso sviluppo economico, l’umanità deve riscoprirsi, ha ragione Edgar Morin, come una “comunità di destino”, per vivere una vera e propria “metamorfosi”. La sfida comune sarà quella di trasformare: i paradigmi della conoscenza, ricostruendo luoghi di ri-composizione dei saperi, in contesti in cui la conoscenza o è superficiale o è sempre più specialistica e spesso incapace di costruire connessioni multidisciplinari; i paradigmi economici, per diffondere approcci capaci di porre quali vincoli esterni alla logica di massimizzazione del profitto la progressiva espansione delle libertà delle persone più fragili, la costruzione di capitale e coesione sociale, la sostenibilità ambientale e lo svelamento e creazione di “bellezza”; i paradigmi tecnologici ed energetici, cercando e sperimentando concretamente nuove vie di sostenibilità; i contesti locali, caratterizzati da una forte dissimmetria fra poteri finanziari e tecnologici accelerati e globali e le democrazie rimaste nazionali o locali, sperimentando pratiche partecipative capaci di attivare “metamorfosi”.
Andrea Satta, cantautore, scrittore, pediatra, già cantante dei “Tetes de Bois”, ha raccontato come “se per alcuni di voi sono un artista, per un migliaio di mamme e di papà delle periferia est della mia città, Roma, sono un pediatra, il loro pediatra di base; senza tanti fronzoli, quello che puoi scegliere all’Asl. Il mio ambulatorio è grande e colorato, ha libri e giocattoli che i bambini possono prendere liberamente e riportare quando ne sono stufi, oppure mai. Non indosso il camice e mamme papà e bambini mi chiamano Andrea. Non sono solo il pediatra dei bambini che stanno male, ma un amico che li aiuta a crescere. Faccio parte della Acp (Associazione Culturale Pediatri), siamo un migliaio in Italia; in sintesi: prima il bambino e poi la malattia. Ma c’è un momento magico che forse non tornerà, dove posso incidere negli stili di vita, soprattutto alimentari: chilometro zero, biologico, stagionalità dei prodotti. È lo svezzamento, bellezza. Li l’egoismo innamorato di mamma e papà, che vogliono proteggere il loro piccolo dagli insulti dell’industria e dalle contraffazioni, rende più facilmente recettivi nel cambiare strada. È il momento in cui molti sono disposti a farlo per il loro piccoletto, e a ragionarci per tutta la famiglia. E io lì, in quella faglia, lavoro”.
E noi adulti, “come facciamo a cambiare il mondo? - si è chiesto, riflettendo sul “Documento di Roma”, il filosofo Nicola Perullo, Rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, in conclusione - il cibo è un’occasione formidabile per provare a farlo”, perché “è il più evidente segno di compartecipazione al mondo: si produce, si elabora e si mangia nella continua collaborazione di tutti i viventi del pianeta”. Per questo “dobbiamo modificare una stortura a cui la nostra mentalità più moderna e scientifica ci ha abituato, quella di vedere il cibo come un oggetto da misurare e di cui appropriarsi nella divorazione” e tornare a “viverlo come una relazione”.

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