Consumatori indiani difficili da conquistare ... Più arretrati di quelli della Cina scoprono solo ora gli ipermercati... Tradizionalista, alle prime armi, frustrato per le scarse capacità di acquisto e diffidente. È l’identikit del consumatore indiano tracciato nel loro survey annuale dagli analisti di McKinsey. Per i quali l’India sarà anche destinata a diventare il quinto mercato più grande al mondo nel 2025, ma per ora resta il più arretrato di tutti i più grandi mercati in via d’emersione. Cina inclusa.
“La ragione - spiega Nicolò Galante, responsabile della Practice marketing in Italia per McKinsey - è semplice: il mercato indiano ha cominciato ad aprirsi alla grande distribuzione internazionale solo nel 2005”.
Gli abitanti di New Delhi non sono dunque abituati a un modello di shopping più moderno: due anni fa, solo l’1% di tutta la popolazione aveva esperienza con i supermercati e i centri commerciali, e non è che la percentuale oggi sia salita di molto: siamo al 5 per cento.
Difficoltà logistiche - Quanto alla diffidenza nei confronti dei marchi occidentali, oltre che al tradizionalismo, è legata alle difficoltà logistiche che la distribuzione dei prodotti freschi incontra nel Subcontinente. Raggiungere i negozietti di campagna impone alle merci tragitti tortuosi e soste prolungate in depositi intermedi che non sempre garantiscono, ad esempio, il grado di refrigerazione adatto. E dopo essere incappati in un prodotto avariato, i consumatori ci pensano due volte. Molto però è destinato a cambiare nei prossimi anni. Non tanto nel 2008, quando colossi come Carrefour o Tesco sbarcheranno e arriveranno in forze in India (Wal-Mart è già presente), ma fra quattro o cinque anni, quando la catena logistica sarà ben rodata. Il mercato retail è destinato infatti a passare dai 284 miliardi di dollari del 2005 ai 440 del 2010. Il reddito medio triplicherà entro il 2025. E per questa stessa data, il 41% della popolazione farà parte di diritto della classe media, contro un misero 5% attuale: un numero di persone pari non alla middle class, ma al totale degli abitanti degli Stati Uniti.
Non solo sari - “Se c’è un settore che esploderà prima degli altri, quello è il tessile”, assicura Nicolò Galante, prefigurando un futuro a breve termine di successo per i marchi occidentali che porteranno in India le loro catene di abbigliamento.
Due, in particolare, i sottosettori della moda che cresceranno di più: “Da un lato - continua Galante - gli abiti formali da uomo: giacca e cravatta sono capi di cui già oggi l’India del business non può fare a meno. Dall’altro lato, si tratta dell’abbigliamento informale da donna”. Il sari, cioè, resiste come scelta tradizionale per le occasioni eleganti, ma per la vita di tutti i giorni, soprattutto nelle città moderne, si guarda con interesse agli abiti casual di foggia più occidentale.
Prodotti ad hoc - Conquistare un mercato tradizionalista come quello del Subcontinente asiatico non è facile: “Gli indiani - spiega Ireena Vittal, partner di McKinsey India - tendono a scegliere i marchi stranieri soltanto se riescono a offrire prodotti tagliati ad hoc proprio sul consumatore indiano”. Più ancora che nella Repubblica popolare cinese, qui è infatti fondamentale camuffare un prodotto come se fosse indiano.
E cosa pensano a New Delhi del made in Italy? “Per gli indiani - prosegue Ireena Vittal - l’Italia è sinonimo di lusso e di fashion. Ma anche di auto e, ultimamente, di buone bottiglie di vino”. Nonostante le rosee previsioni per il futuro, ad oggi però il consumatore indiano è più arretrato di quello cinese: “Non tanto per la disponibilità media di spesa - sostiene ancora Nicolò Galante - per la quale si equivalgono, quanto per le scelte di consumo”.
Più tradizionalisti Più tradizionalisti dei vicini della Repubblica popolare, gli indiani hanno la sensazione che i marchi stranieri siano di qualità inferiore (42 per cento, contro il 35% della Cina), e aprono il portafogli soprattutto per beni di prima necessità, come il cibo (39% del paniere familiare, contro il 28% dei cinesi).
Ma soprattutto, continuano ad aver paura di essere imbrogliati: il 67% degli indiani parte dal presupposto che il commerciante lo voglia trarre in inganno, contro il 25% dei più navigati cinesi.
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