In cantina c’è Cuffaro ... Le tenute della moglie, il gestore dei vigneti e il consulente che assegna gli incentivi pubblici. Così l’ex governatore ha messo radici nel business del vino... Il sindaco di Niscemi Giovanni Di Martino ha un diavolo per capello: “Stanno sbancando la mia collina dentro una preriserva naturale e tutto avviene con l’autorizzazione della Regione”, tuona il primo cittdno di questo paese in provincia di Caltanissetta. Di Martino ce l’ha con l’assessorato all’Ambiente, troppo buono con la Cia, la società quotata in borsa, che è proprietaria del terreno.
A guardare le ruspe che feriscono la collina sembrerebbe la classica disfida italiana
tra il partito del no e il partito dcl sì, tra gli ambientalisti di sinistra e gli industriali vicini alla destra. E invece siamo di fronte a una storia complicata che parte da Niscemi ma arriva agli affari personali del presidente della Regione Salvatore Cuffaro e che intreccia i suoi fili con un inchiesta per omicidio e truffa.
Per orientarsi in questa matassa bisogna partire dalla tenuta del Pisciotto: 150 ettari, 38 coltivati a vigna sui quali la Cia del patron di Class Editori, Paolo Panerai, vuole replicare i fasti dell’azienda toscana che produce uno dei migliori rossi: “I sodi di San Nicolo”. L’uomo che ha curato lo sbarco in Sicilia si chiama Salvatore Di Maggio, un imprenditore palermitano di 47 anni che ha acquistato i vitigni e ha seguito le pratiche per un contributo a fondo perduto da 3,5 milioni di euro, decretato dalla Regione sui fondi europei del Por. Il progetto è ambizioso: una nuova cantina tra le più grandi della regione e poi la ristrutturazione del baglio per farne un resort a cinque stelle. La cantina vinificherà fino a 10 mila ettolitri e certamente darà lavoro ma non piace al sindaco: “È un impianto industriale in una preriserva. In queste zone si possono edificare solo strutture funzionali alla fruizione
del parco, come un
chiosco informazioni
o un bagno. Qui siamo
di fronte a un impianto in cemento armato
per migliaia di metri
quadrati. Mi sembra
incredibile che la regione lo abbia autorizzato”. Effettivamente,
come precisa l’amministratore della Tenuta, Salvatore Di Maggio “i lavori sono iniziati a luglio con il nulla osta dell’assessorato all’Ambiente”. E quando il sindaco ha cominciato a borbottare è arrivato il secondo colpo di scena:
“L’assessorato sta addirittura ridisegnando la riserva. Nel nuovo perimetro”, spiega il sindaco, “l’antico baglio e i nuovi impianti sono finiti in zona non tutelata. Così potranno fare quello che vogliono”.
A rendere particolare la vicenda c’è una coincidenza:
Salvatore Di Maggio non amministra solo
la tenuta del Pisciotto ma anche la “Tenuta Chiarelli Cuffaro”, diciotto ettari di vigneti rigogliosi, nelle campagne vicino a
Piazza Armerina, intestati alla moglie del
presidente: Giacoma Chiarelli. “Sono io a
seguire i vitigni del presidente e a occuparmi dell’imbottigliamento”, spiega lui,
“Cuffaro non ha tempo per farlo”. Di
Maggio invece è davvero instancabile.
Amministra anche una terza società: la
cooperati a “Villa del Casale”, che possiede un’altra tenuta di
ben 133 ettari a Niscemi proprio accanto a quella del Pisciotto. E indovinate un
po’ chi l’ha fondata?
Sempre la moglie di Cuffaro. L’Ismea e la tenuta del presidente Villa del Casale nasce nel febbraio del 2001 su iniziativa di Giacomi Chiarelli e di altri due soci perché, come spiega Di Maggio, “Cuffaro voleva comprare una tenuta e voleva comprarla usando un prestito dell’Iismea”. L’Ismea è l’ente nazionale che si occupa di agevolazioni all’agricoltura e il suo direttore generale era (ed è) un uomo che Cuffaro stima molto: Ezio Castiglione. Nel totonomine nel luglio del 2001, si fece il suo nome come assessore tecnico “del presidente” nella prima giunta di Totò ma la candidatura poi saltò. Quando un anno dopo Ismea concede il prestito per comprare la tenuta di 133 ettari nessuno solleva un ipotetico conflitto di interessi. La pratica parte quando la moglie di Cuffaro era socia e amministratrice della cooperativa ma il suo nome non figura mai. Quando, il 17 luglio del 2002, il commissario straordinario Massimo Bellotti (non Castiglione) firma il finanziamento Giacoma Chiarelli aveva già ceduto da sette mesi le quote a Di Maggio con atto gratuito. Questa tenuta bellissima composta di vigneti (38 ettari), uliveti e aranceti, più boschi e casali e stata comprata grazie a un prestito di 2 milioni di euro da restituire comodamente in trenta anni al tasso fisso del 2,5 per cento, 98 mila euro all’anno. Eppure gli amici di Cuffaro non hanno pagato neanche quelli. “Stiamo chiedendo una rateizzazione”, spiega Di Maggio, alle prese con i costi delle nuove piantagioni di uva pregiata, ma la trattativa non deve andare molto bene. L’Ismea ha appena ottenuto dal Tribunale un decreto per il pagamento forzoso di 370 mila euro di arretrati, nonostante nel consiglio di Ismea ci sia anche Salvatore Galvanico, amico di Cuffaro e Di Maggio, un personaggio fondamentale della storia.
La sede della Villa del Casale si trova proprio nell’ufficio palermitano della società di consulenza di Galvanico: Euforbia. “È stato mio compagno di studi”, spiega Di Maggio, - e gli ho solo chiesto la cortesia di appoggiarmi lì per la cooperativa”. Galvanico è uno degli uomini più potenti della Sicilia in materia di agricoltura. Allo stesso tempo è nell’ordine: 1) consigliere personale per le politiche agricole del presidente, nominato con decreto; 2) consigliere dell’Ismea dal 2003; 3) principale consulente privato in Sicilia per il settore agricolo. Nel 2006 ha fatturato 3 milioni di euro con la società Euforbia. Cuffaro e Galvanico sono stati in pellegrinaggio insieme a Santiago de Compostela la scorsa estate con le rispettive mogli e, con Di Maggio, formano un triangolo indissolubile che ha retro anche all’impatto di una vicenda imbarazzante. Come ha raccontato Alessandro Sortino nella trasmissione “Malpelo”, su “La 7” centinaia di bottiglie del vino di Cuffaro sono state trovate nel deposito di un truffatore che si era fatto assegnare milioni di euro per le sue società. Si chiama Francesco Paolo Tartamella ed è accusato di avere truffato fondi pubblici, in parte anche regionali, mediante false fatture. La squadra mobile di Trapani diretta da Giuseppe Linares è arrivata a sequestrare la società di ricerca a lui riferibile, l’irsa, e la sua cantina. Vessillo di Vita, quella dove è stato scoperto il vino di Cuffaro, indagando su una strage compiuta nel 2006 a Brescia dal figlio di un boss della mafia: Vito Marino. Quando Sortino lo ha incalzato sullo strano ritrovamento del suo vino, Cuffaro ha risposto: “Avevo dato l’incarico di imbottigliare il mio vino a una persona che lo ha depositato nel magazzino di quel truffatore che io non conoscevo. E’ un caso fortuito. Non c’entro nulla”. A “L’espresso” però risulta che la Tenuta Chiarelli e la Villa del Casale non hanno usufruito solo dei deposito di Tartamella ma anche di una consulenza scientifica gratuita effettuata dalla società Irsa, proprio quella delle truffe di Tartamella. Irsa è stata sequestrata dalla Procura perche avrebbe truffato milioni di euro, ottenuti da Stato e regione, per fare ricerche sui vitigni. Le cantine di Cuffaro e di Di Maggio, pur non facendo parte del consorzio finanziato, hanno usufruito gratis dei suoi studi. Perche? “Oggi e facile giudicare con malizia”, dice Salvatore Di Maggio, “ma quando mi e stata offerta questa ricerca per entrambe le cantine non ci ho visto nulla di male e ho accettato. C’erano anche altre aziende rinomate e nessuno poteva sospettare chi fosse Tartamella. Era considerato un interlocutore serio da enologi di fama mondiale come Donato Lanati”. I vini di Cuffaro e quelli di Tartamella hanno avuto lo stesso enologo ma per fortuna almeno i nomi sono diversi. Quelli di Tartamella, l’insospettabile, si chiamano “Malandrino” e “Baciamo le mani”.
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