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Corriere Della Sera

“Incentivi per le start up dei campi premio del 25% agli under 35” ... Il responsabile delle Politiche Agricole: con la nuova Pac risorse per 52 miliardi... Il ministro Martina: “Bisogna aiutare chi produce davvero”... Tutto è pronto per il “campo libero”, anche il nome. Un’operazione di marketing in grande stile per sostenere il ricambio generazionale. Avvicinare i giovani all’agricoltura perché sono (ancora) troppo pochi rispetto alle esigenze del sistema-Paese. Lui, il ministro alle politiche agricole Maurizio Mattina, assicura che presenterà nei prossimi giorni in Consiglio dei ministri una serie di misure per forzare il cambiamento e indurre gli under 35 a caccia di un impiego a considerare anche il lavoro agricolo percepito ancora come un retaggio del passato. “Agevolazioni per gli affitti dei terreni, credito d’imposta a favore delle imprese giovanili, pacchetto incèntivi per le assunzioni delle nuove leve - dice - così evitiamo di disperdere le competenze”. Sgravi che fanno il paio con la decisione già messa nero su bianco di riconoscere un 25% di maggiorazione degli aiuti per le start-up agricole. Il titolare del dicastero ha appena chiuso il cantiere della nuova Pac (Politica Agricola Comune) trovando l’accordo con regioni. Si dice soddisfatto dell’intesa raggiunta, anche in considerazione degli interessi contrastanti in gioco. L’architettura complessiva prevede aiuti per 52 miliardi di euro da qui al 2020, per inciso quasi tre volte il gettito annuale dell’imu. Circa 27 miliardi dedicati al primo pilastro, cioè interventi diretti agli agricoltori completamente a carico dell’Unione Europea. Altri 21 miliardi per lo sviluppo rurale per metà provenienti da Bruxelles e per metà co-finanziati dagli Stati membri (attingendo, quindi, alla fiscalità generale). Gli ultimi quattro per gli Ocm (organizzazione comune di mercato) con interventi mirati in alcuni settori. Lo schema predisposto, secondo i desiderata degli sherpa Ue, è quello degli aiuti accoppiati, modello secondo cui le risorse vengono elargite secondo il combinato disposto dei volumi effettivamente prodotti dagli agricoltori e di un sistema di quote su base regionale. “L’obiettivo è quello di aiutare chi davvero produce beni agroalimentari - aggiunge Martina - evitando che gli aiuti vadano anche a chi è solo possessore di terreni, come le banche, le assicurazioni, gli intermediari finanziari e immobiliari, i campi da golf” che hanno percepito in questi anni una mole ingente di risorse comunitarie soltanto per la loro posizione di rentier. La ratio è quella di eliminare le storture delle Pac precedenti denti, i cui soldi hanno finito in parte per riconvertirsi in forme di sostegno al reddito per chi non ne aveva diritto, non producendo alcun valore aggiunto per la filiera made in Italy nella competizione sui mercati mondiali. Basta incentivi a pioggia, ma “interventi mirati nella zootecnia da carne e latte, nella olivicultura, nei seminativi come riso e barbabietola”, rivendica Martina. Soprattutto 95 milioni di euro per un piano proteico e per il grano duro, soldi che investono ovviamente la filiera della pasta. Finita recentemente nel dibattito pubblico per qualche goffo tentativo di tutela del made in Italy (leggi la querelle sul grano d’importazione) e interessata da una serie di ac di aziende tricolori (l’ultima, la Garofalo, finita agli spagnoli di Ebro). Qui Martina si dice preoccupato per l’emorragia di marchi finiti in mano estera. Beninteso, non una volontà di protezionismo/campanilismo vecchia maniera non più adeguata ai tempi della globalizzazione. “Certo è - dice - che occorrerebbe fare sistema tra pubblico e privato per sostenere le nostre aziende più prestigiose, come peraltro fanno gli altri Paesi, come la Spagna”. In filigrana il richiamo è a un possibile sostegno da parte di Cassa Depositi e Prestiti (leggi Fondo Strategico Italiano) in una sorta di nuovo in capace di dettare le politiche industriali anche nell’agroalimentare, “dove - ammette - si è ancora alla ricerca di un centro di gravità permanente tra i produttori, la parte più debole della filiera e con un bassissimo potere negoziale, le imprese di trasformazione esattamente a metà della catena e chiamate a quadrare i conti con i marchi della grande distribuzione” in una posizione di rendita perché deputati agli assortimenti degli scaffali, ma con i margini ridotti al lumicino per una pressione promozionale in crescita anno su anno (oltre il 26% dei prodotti nei supermercati è ormai a sconto). Sullo sfondo il tema dell’etichettatura dei prodotti in un’ottica di maggiore trasparenza per il consumatore, battaglia da condividere nelle sedi europee, “dove - dice Martina - noi italiani saremmo perfettamente in grado di esprimere il nuovo commissario all’Agricoltura”. Il valzer delle nomine, d’altronde, è cominciato da un po’. Perché non rivendicare un ruolo di primo piano per l’agroalimentare tricolore?

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