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SALONE DEL VINO - CANTINE: LA QUALITA’ PREMIA PIU’ DELLA BORSA MA LA BOLLA SPECULATIVA SUI PREZZI IMPONE CONCENTRAZIONI E NUOVI STRUMENTI FINANZIARI

Italia
In cantina più che la Borsa premia la qualità

Il rischio per il settore vinicolo italiano? Arenarsi sulle secche del successo, stretto com’è tra dimensioni aziendali troppo ridotte e prezzi ormai fuori controllo: sia dei terreni sia del prodotto finito. L’analisi è condivisa da grandi “vignaioli” e manager della finanza, che però si dividono sulla terapia. I primi sostengono che si andrà inevitabilmente verso fusioni e concentrazioni, i secondi insistono per una “finanziarizzazione” attraverso vari strumenti: dal private equity alla quotazione in Borsa. Ma la maggiore preoccupazione viene per l’andamento dei prezzi. Gli investimenti per impiantare vigna sono troppo onerosi, i “listini” sembrano sotto l’effetto di una bolla speculativa che si determina quando tutti vogliono comprare e nessuno vuole vendere, e si scaricano - talvolta anche troppo violentemente, per stessa ammissione dei produttori - sui prezzi al consumo.

Il presente, ma soprattutto l’immediato futuro economico del vino “made in Italy” è stato il “vernissage” del Salone del Vino - da oggi al 25 novembre, a Torino - kermesse che il sottosegretario di Stato per le Politiche Agricole Teresio Delfino ha definito essere “la migliore risposta a coloro i quali erano scettici su questa iniziativa e la migliore dimostrazione di quanto spazio e di quanto bisogno ci sia nella promozione del vino italiano”). Ne hanno parlato nel convegno “Le acquisizioni nel settore vinicolo”, relatori, coordinati dal “gastronauta” Davide Paolini: Stefano Romiti, top manager di Deloitte Touche, Renato Preti, amministratore delegato del fondo d’investimento Opera ed i produttori Gianni Zonin, Vittorio Moretti, Emilio Pedron (Giv), Bruno Muratori e Giovanni Geddes de la Filicaja (Marchesi de’ Frescobaldi. Tutti gruppi vinicoli che hanno fatto acquisizioni negli ultimi tempi. Confronto serrato e fondato sull’esperienza diretta, dunque, ma anche su una solida analisi del mercato condotta da Stefano Romiti che colloca l’Italia al secondo posto dietro la Francia per esportazioni in valore, che avverte come l’investimento in vigna sia uno dei fattori di criticità delle aziende, che stima buona la redditività dell’impresa vitivinicola (su un campione di 52 aziende, che fatturano poco meno di 2,2 miliardi di euro, si nota che il Mol è in crescita costante e si attesta attorno all’8% sul fatturato) che certifica come i valori del vino in Italia siano in crescita per un fatturato proprio di settore pari a 7,6 miliardi di euro. Ma Romiti avverte che il pericolo viene da Sud-Est, dall’Australia soprattutto (ma anche dalla Cina che a prospettiva di lungo termine si avvia a diventare paese produttore) e proprio perché le cantine di quel paese hanno realizzato il combinato disposto di più produzione per ettaro (incrementando le fittezze) e di dotazione finanziaria col ricorso alla Borsa. Borsa che sembra influenzare tantissimo l’andamento dei prezzi del vino in Usa e Australia e meno in Europa, dove anzi gli indici del mercato del vino si mantengono ben superiori a quelli dei mercati finanziari.

E chi vorrebbe scommettere sulle cantine di pregio sono proprio i grandi operatori finanziari. Come il Fondo Opera che ha provato a comprare sia La Corvo di Salaparuta sia la Sella & Mosca e non ci è riuscito. Perché? Prezzi troppo alti, è la risposta di Renato Preti, amministratore delegato della società che ha per socio di riferimento il re del lusso Bulgari. L’analisi di Preti è stringente: le aziende del vino sono troppo piccole, hanno bisogno di sostegni per essere inserite anche nel canale distributivo del lusso dove il vino acquista ulteriori valori immateriali, è necessario per rivitalizzarle accompagnarle verso la Borsa per “costringere” le gestioni a tenera conto della redditività e non solo della patrimonializzazione e dunque portarle ad investire anche in uomini e marketing. Si può fare attraverso tre strade: l’acquisto da parte di gruppi finanziari e la quotazione, l’aggregazione di più produttori e ingresso diretto in Borsa, oppure con operazioni di private equity che accompagnano attraverso ingresso nel capitale del Fondo di’investimento l’azienda nella sua crescita dimensionale e finanziaria. Possono essere tutte strade percorribili ma secondo Preti è imperativo per le cantine italiane dotarsi di nuovi strumenti finanziari per reggere la concorrenza così come è necessario per chi gestisce la filiera del lusso entrare nel segmento del vino di qualità.

E, proprio la qualità, è stata al centro delle comunicazioni dei “vignaioli”. Assai esplicito Gianni Zonin: “Il nostro settore - ha detto - è in una fase delicata. C’è una corsa alla qualità che non sempre però rispetta gli equilibri aziendali e di mercato. Non c’è dubbio che ci sia un’eccessiva parcellizzazione del comparto che è anche un freno all’ingresso di operatori finanziari nel nostro settore. Nessuno compra un’azienda di dieci ettari per fare business, i margini sono troppo ridotti. Il futuro sarà perciò quello delle concentrazione per fusione di più aziende, come non c’è dubbio che ora i prezzi dei terreni siano fuori controllo e che questo è il vero gap della viticoltura italiana rispetto al resto del mondo. E’ pur vero - ha notato Zonin - che negli anni passati chi ha saputo comprare si è ben patrimonializzato: penso alla Sicilia, alla Maremma. Ma intravedo - ha concluso Zonin, il maggiore proprietario di vigna in Italia: conta ben 1800 ettari - oggi un doppio rischio: è crollata la produzione e il vino quest’anno non sarà buono, ma i prezzi restano alti. Così si arriverà ad uno screening del mercato: chi ha comprato bene la vigna e può controllare la produzione avrà futuro, chi si limita alla trasformazione oggi non ha più spazio per comprare ed è destinato ad uscire dal mercato: Per questa via si faranno le concentrazioni”.

Concentrazioni che sono necessarie anche per Emilio Pedron, amministratore delegato del Gruppo Italiano Vini (Giv), che pone l’accento però sul fatto che l’incremento di redditività è dovuto al nuovo atteggiamento del consumatore disposto a spendere di più per avere più qualità. Dunque semmai gli investimenti devono essere fatti in quella direzione. Da Vittorio Moretti (Bellavista e Contadi Castaldi) è venuta invece l’esortazione a rispettare i “tempi del vino”. “Puntando sulla qualità - ha affermato il patron di Bellavista che ora ha investito massicciamente in Toscana acquistando 800 ettari - siamo riusciti ad ottenere l’equilibrio di bilancio dopo dieci anni. Ma una volta acquisito quel valore difficilmente si perde. Per Bruno Muratori - industriale tessile che si è lanciato nel vino investendo in un progetto poliregionale oltre 50 milioni di euro - “l’analisi economica del comparto vinicolo non può prescindere da due dati: il rapporto investimento fatturato è molto negativo, mentre è buono il rapporto utile netto fatturato. E’ necessario dunque prevedere un ammortamento a lungo dell’investimento e forse un sostegno di capitale a questo scopo non sarebbe da scartare. Certo è che la qualità del prodotto finito è la prima garanzia di ritorno, sia pure lento, dall’investimento”.

“Che però - lo ha sostenuto l’amministratore delegato della Marchesi de’ Frescobaldi Giovanni Geddes da Filicaja - deve essere perseguito. Spesso il vignaiolo si illude con l’incremento patrimoniale della terra. Si tratta in realtà di un incremento che difficilmente tende a monetizzarsi se non vendendo l’azienda. Dunque bisogna stare attenti ai bilanci e fare investimenti mirati. Noi ne abbiamo fatti tre: uno con la joint venture con Mondavi creando Luce per rafforzare la presenza negli Usa e lo definirei commerciale, uno produttivo acquistando da soli Attems in Friuli perché volevamo un grande bianco, uno finanziario entrando sempre con Mondavi nell’acquisto di Ornellaia. E’ questo mix, oltre all’attenzione al conto economico, che può dare prospettive alle nostre cantine, ben sapendo che alcuni grandissimi vini ormai hanno quotazioni che difficilmente interessano il grande pubblico. Sono loro sì esposti all’altalena della Borsa perché la loro domanda segue quasi pedissequamente l’andamento dei capital-gain”.

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