Un’alleanza sempre più stretta, quella tra Italia e Stati Uniti: le ultime vicende internazionali, insieme all’amicizia e alla simpatia reciproca tra George Bush e Silvio Berlusconi, stanno infatti rinsaldando anche i legami economici e commerciali esistenti tra i due Paesi. Uno dei settori in cui la creazione di joint venture e partnership tra aziende italiane ed americane sta andando a gonfie vele è quello del vino: griffe a “stelle e strisce” decidono sempre più spesso di investire nel Belpaese, mentre vignaioli nostrani trovano negli Usa terreno fertile per produrre ottime bottiglie. E se il vino italiano aveva ormai superato quello francese nelle preferenze degli appassionati d’oltreoceano, adesso il divario si sta ulteriormente allargando a nostro favore: è sempre più marcata infatti l’avversione da parte americana per i vini in arrivo dalla Francia, a causa della posizione avversa di Chirac circa un’eventuale guerra all’Iraq. Per questo nelle ultime settimane un deputato repubblicano al Congresso ha addirittura ventilato l’ipotesi di un embargo verso i vini francesi. Una mossa questa che, seppure improbabile, rafforzerebbe ulteriormente la posizione strategica del nostro Paese. Dell’alleanza Usa/Italia in campo enologico si parla il 7 aprile, a Firenze, nel convegno “Il Ponte del Vino” dell’American Chamber of Commerce in Italy: imprenditori, giornalisti e banchieri affronteranno l’importante fenomeno economico, riportando testimonianze e case histories. Tre le sessioni della giornata di lavoro (dalle ore 15) a Villa “La Sfacciata”: si comincia con “Joint Ventures e Partnership tra Italia e Stati Uniti”, per passare a “Il vino: tra fenomeno economico e immaginario collettivo”. Infine saranno affrontate “Esperienze e casi di successo”, con la presenza dei più importanti imprenditori mondiali: da Tim Mondavi e Vittorio Frescobaldi (che, in joint venture, hanno recentemente acquistato la Tenuta dell’Ornellaia) a Piero Antinori (che negli Usa possiede importanti tenimenti), da Gianni Zonin (che, in Virginia, produce da anni vini particolarmente apprezzati) a John Mariani (presidente di Banfi), a Jacopo Biondi Santi. A sottolineare l’importanza del convegno la presenza di Adolfo Urso, vice ministro per il Commercio Estero, e Melvin Sembler, Ambasciatore Usa in Italia.
L’analisi - Venti di crisi sul vino francese
Bordeaux, Alsace, Bourgogne, Cotes du Rhone, Beaujolais ... Nessuno di questi gloriosi vini francesi si salva dalla crisi di esportazioni che, da qualche anno, ha investito il settore. Ora, a complicare le cose, ci si mettono anche gli americani che lanciano appelli al boicottaggio dei vini “pacifisti” francesi. Ma nelle vigne si corre ai ripari. Il male dei vini di Francia è molto più antico della crisi irachena.
Negli ultimi cinque anni le vendite all'estero sono calate del 16%. Sui motivi ci si è interrogati e da tempo si sono date le risposte: vini troppo cari quelli francesi, che non reggono la concorrenza di un mercato aggressivo come quello dei vini del “Nuovo Mondo” (Cile, California, Sudafrica, Australia) e di mercati antichi come quello italiano e spagnolo che hanno saputo modernizzare i gusti del loro target con nuove proposte e prezzi attraenti. Il Bordeaux, invece, si vende sempre meno - oltre che negli Stati Uniti - in Germania, Olanda, Danimarca, Svizzera, Canada e anche in Italia. “All’esportazione - confida a “Le Journal du dimanche”, Louis-Regis Affre, responsabile della federazione esportatori di vini e alcolici - vendiamo 75 milioni di bottiglie in meno al 1997''. Non poche, se si pensa che della flotta dei vini francesi fa parte un prodotto che non conosce crisi, lo champagne: dopo la superproduzione per festeggiare l'arrivo del 2000, il vino con le preziose bollicine ha conosciuto un breve periodo di riflessione ma già l'anno scorso è ripartito e ora ha ripreso con un +13,2% destinato a ricostituire gli stock esauriti. Se qualcuno già si preoccupa per le ricadute della crisi irachena - morale più basso, paura, meno soldi - in molti pensano al boicottaggio ventilato e già messo in atto negli Usa da qualcuno, su istigazione di personaggi politici: “Ci possono essere delle conseguenze - ammette il sindacato vendita di Bourgogne - ma fortunatamente vendiamo molto più nelle grandi città della East Coast americana, dove la cultura è filo-europea”.
La fuga degli americani dalle enoteche e dalle rivendite di vino francese è particolarmente temuta perché il profilo di quel cliente è fra i più ambiti: acquista bottiglie soprattutto per l'etichetta, quindi vino di marca, segnalato dalle guide, mai meno di 3 dollari a bottiglia, ma la forbice dei prezzi arriva tranquillamente fino a 30 dollari. Sulla scrivania di Hervè Gaymard, ministro dell'Agricoltura, c'è quindi un dossier complicato, da affrontare nel prossimo mese: bisogna mettere d'accordo gli 80.000 produttori di vino di Francia per invertire la tendenza, con decisioni forse drastiche ma necessarie. Una per tutte: modificare le regole della produzione per rendere i vini più competitivi. In altre parole, compiere quella piccola rivoluzione dell’incrocio di vitigni con il quale si possono “tagliare” alcune produzioni troppo costose con aggiunta di uve di provenienza diversa, fino a un massimo del 15% del contenuto. Ne uscirebbe un prodotto dal sapore e dal gusto più costante negli anni, quindi più facile da proporre al cliente straniero. E, soprattutto, meno caro. (Ansa)
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