L’interessante proposta, che ha attirato anche l’attenzione del Ministero delle Politiche Agricole, è degli enologi ed è stata lanciata ieri dal loro Congresso di Sorrento: con parole semplici, identificare per via telematica, i vini a denominazione d’origine. Connessione ad internet, si inserisce un numero stampato sull’etichetta della bottiglia e velocemente si potrà sapere tutto del prezioso contenuto, sarà infatti possibile identificare il vigneto di provenienza, il periodo della vendemmia, il luogo e il giorno dell’imbottigliamento.
Ezio Pelissetti, direttore del Consorzio dell’Asti, ha già applicato la ricetta alle bottiglie Asti spumante e di Moscato d’Asti e consiglia di verificarne le possibilità visitando il sito www.asti.docg.it, cliccare sulla parola “tracciabilità” e digitare la serie e il numero riportati sulla fascetta rosa presente in tutte le bottiglie, comparirà anche l’analisi chimica del vino. Più che per un discorso di curiosità, la proposta nasce dall’esigenza di raccogliere e collegare in modo unitario il lavoro di controllo e garanzia che esiste dietro le denominazioni d’origine.
Ad oggi, ogni passaggio della produzione viene esaminato da organi differenti (i controlli sui vigneti sono operati dalle Regioni, quelli sulle quantità di vino dalle Camere di Commercio, le ispezioni sono affidate ai Nas, alla Guardia di Finanza, alle Asl o all’Ispettorato repressione frodi) che normalmente non hanno tra di loro uno scambio prestabilito delle informazioni. “Non vogliamo introdurre nuove leggi- specifica il direttore di Assoenologi, Giuseppe Martelli - ma coordinare le norme già previste per i vini di qualità”. Un programma coordinato tra i vari enti e i produttori consentirebbe di avere informazioni complete, esaustive e in tempi rapidi a tutto vantaggio delle garanzie qualitative e quantitative dei vini doc e docg.
Elisabetta Guerrini
Una breve lettura di WineNews ai dati degli enologi italiani:
le luci e le ombre del vino d’Italia:
Il vino italiano piace e il nostro export di qualità vola: nel 2001, per la prima volta nella storia, l'imbottigliato ha superato lo sfuso e, sul mercato statunitense, le bottiglie tricolori hanno superato, per quantità e valore, quelle francesi. Sono 10 anni che il nostro export cresce: nel 2001, l’incremento è stato di un ulteriore 4,3% in valore, a cui si è contrapposta una diminuzione del 10,6% in volume, dovuta al decremento del vino sfuso (-26%). Ed anche il 2003 farà registrare un incremento in valore intorno al 5%: continuiamo a vendere di meno e a guadagnare di più. Siamo passati da un valore dell'esportato di 2,3 miliardi di euro del 2000 a poco meno di 3 miliardi di euro del 2002. Il che vuol dire che mandiamo all'estero meno quantità, ma più qualità.
Il vino italiano va a due velocità: il prodotto senza caratteristiche perde terreno, quello di qualità fa registrare interessanti incrementi. I consumi interni, secondo le previsioni, resteranno invariati. Lo sviluppo nei prossimi anni si giocherà sull'estero. Compito non facile, visto che i concorrenti stranieri aumentano e sono sempre più aggressivi (soprattutto Australia, Cile, Spagna). La guerra in Iraq potrebbe avere anche riflessi favorevoli per i vini italiani in America: se il boicottaggio ai vini francesi da parte degli Usa durerà nel tempo i vini italiani potrebbero prendere il volo.
Ma, in questo quadro, pieno di luci non mancano però le ombre, in particolare, le dimensioni troppo ridotte delle aziende vitivinicole italiane, che le rendono meno competitive: se negli anni Ottanta si sono trasformate le cantine, oggi devono trasformarsi i vigneti. La superficie media delle coltivazioni è rimasta a 0,9 ettari: in Francia si è attestata sui 10 ettari (che diventano oltre 25 nel Midi), in Cile e in Australia, in media, le aziende hanno una superficie superiore ai 300 ettari.
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