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E QUESTO NATALE SI MANGIA ALL’ANTICA: LA TENDENZA DELLE FESTE 2004 VEDE IL RITORNO DEI PIATTI POVERI E GUSTOSI DELLA TRADIZIONE. ECCO UN MENU ISPIRATO ALLA CUCINA CONTADINA IN TOSCANA

Italia
Alla riscoperta dei piatti della tradizione

Sarà il caro-euro, sarà la voglia di riscoprire le tradizioni, sarà che non se ne può più dei prodotti carissimi ed abusati - leggi salmone, caviale, champagne, ostriche, frutta esotica e primizie- che ormai da troppo tempo vengono proposti a peso d’oro in questo periodo dell’anno: la tendenza per la tavola del Natale 2004 (secondo le analisi degli esperti uno dei più “poveri” degli ultimi anni) è riscoprire i piatti semplici e gustosi della nostra terra e delle nostre tradizioni. Bandito allora ogni lusso mangereccio, gli italiani rispolverano quest’anno il vecchio ricettario di famiglia: ogni regione del nostro Paese può vantare una ricchissima tradizione gastronomica, basta chiedere ai nonni cosa si mangiava una volta per Natale, e provare a cimentarsi nelle preparazioni di un tempo, sicuramente più buone (ed economiche) delle effimere mode dei giorni nostri.

Gli ingredienti saranno allora quelli tipici del proprio territorio, le ricette quelle sempre valide del passato. E per chi vuole ispirare il proprio pranzo di Natale alla “vera” cucina toscana contadina, i suggerimenti arrivano da Carlo Cambi, direttore de “I Viaggi di Repubblica” e giornalista enogastronomico italiano, che ha curato, in questi giorni, il libro “Orcia Miseria, quando campare era un rimedio”, una pubblicazione preziosa, che raccoglie ricette, riti, leggende e cultura di un territorio, la Val d’Orcia, dichiarata recentemente Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.

In un mondo povero dove non si buttava via niente, dove tutto era utilizzato e riciclato, la cucina quotidiana dei mezzadri si basava sulle “ricette del nulla”, perché si era capaci di mettere insieme dagli avanzi, dalle erbe trovate nei campi, dalle poche coltivazioni, gli ingredienti necessari alla sopravvivenza. Piatti più ricchi si avevano solo in occasioni particolari come la Pasqua, la trebbiatura, i matrimoni, e appunto il Natale.

Quale allora il menu per questo giorno dell’anno, a cui si può benissimo riferirsi anche oggi? Secondo Cambi, in Val d’Orcia, si iniziava con un antipasto di salumi fatti in casa - da poco era stato ucciso il maiale: salsicce, fegatelli, prosciutto, capocollo, rigatino, buristo (composto da sangue, lardo e aromi vari) e soppressata (fatta con cotenne, orecchie, zampe: il tutto cotto e aromatizzato con succo di limone). Non mancavano naturalmente i classici crostini di milza, anche questi una saggia maniera per utilizzare le parti meno nobili dell’animale. Come primi piatti le massaie preparavano i maccheroni al sugo e i pici (sorta di lunghi spaghetti fatti a mano). Una particolarità: al contrario della maggior parte delle regioni d’Italia, in Val d’Orcia, non si faceva il brodo per Natale. Dopo la pasta ecco poi l’arrosto misto di pollame e coniglio, cotto nel forno a legna del podere, e accompagnato da sformati di verdure di stagione. Se si voleva proprio strafare c’era anche la scottiglia. Piatto estremamente ricco, la scottiglia era cucinata con tre tipi di carni differenti: pollo, coniglio e maiale. La carne in piccoli pezzi era rosolata con olio in una grande padella di ferro, e dopo aver aggiunto la salsa di pomodoro, portata a cottura. Infine, i dolci: il semplice e fragrante ciambellone, ma anche i baci (biscotti a base di chiare d’uovo e zucchero) ed i famosi cantucci, insieme al Vin Santo. Questo vino dolce e prezioso era custodito gelosamente dai contadini, e tirato fuori solo nelle occasioni speciali e nelle feste ricordate.

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