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LA RICETTA DI ANGELO GAJA PER SUPERARE LE “PASTOIE” DELL’ATTUALE CRISI DEL MONDO DEL VINO. IL DIBATTITO SULLA CRISI DEL VINO, VOLUTO DA WINENEWS, PARTE CON IL GIUDIZIO DI UNO DEI PIU' FAMOSI VIGNAIOLI ITALIANI

Italia
Angelo Gaja

Angelo Gaja, uno degli imprenditori del vino italiano più famosi al mondo, non vede soluzioni facili e soprattutto veloci all’attuale crisi del vino. “Credo che questo delicato momento debba essere affrontato con progetti almeno a medio-lungo termine - spiega Gaja - soluzioni immediate non mi pare di vederne”. E il produttore piemontese prova ad illustrare in esclusiva a WineNews i quattro punti salienti del suo piano di “rinascita”: «Bisogna favorire all’estero, soprattutto in Paesi strategici come Usa, Russia, Brasile, Cina ed India - continua Angelo Gaja - l’apertura di scuole che formino chef specializzati nella cucina italiana. I ristoranti italiani all’estero sono stati storicamente, e continuano ad esserlo, i più efficaci e formidabili promotori del nostro agro-alimentare. Di chef italiani disposti a trasferirsi all’estero ce ne sono troppo pochi. Per questo, occorre costruire in “ loco” chef capaci di valorizzare la gastronomia italiana, con il vantaggio che già conoscono la cultura del proprio Paese di appartenenza e ne parlano la lingua. In Italia, invece, bisogna favorire la nascita di una classe imprenditoriale che sia in grado di commercializzare professionalmente all’estero i prodotti dell’agro-alimentare italiano, compresi i vini. L’esempio a cui guardare, per capirci, è quello dei nègociants di Bordeaux. La stragrande maggioranza delle cantine italiane sono di dimensione medio-piccola e non possono permettersi una struttura commerciale ad hoc per l’estero e per questo faticano sempre di più ad offrire con successo i loro prodotti fuori dai confini nazionali. Esistono già esempi di organizzazioni commerciali in grado di svolgere questa funzione, per esempio Empson, De Grazia, Classica, Meregalli, ma sono troppo poche. Bisogna poi favorire, sul modello del francese Coface, la nascita di un Istituto italiano in grado di garantire i crediti all’esportazione dei prodotti dell’agro-alimentare. Nono basta soltanto affidare questo compito agli istituti bancari o alle compagnie di assicurazione. Dobbiamo puntare con più incisività sul mercato europeo, costituendo reti di vendita per il trade su questo mercato per i nostri prodotti agro-alimentari. L’Europa unita è a tutti gli effettti il nostro nuovo paese. Resterà a lungo uno dei mercati più importanti, facile da raggiungere, con una normativa comune, e un’ampia fascia di potenziali clienti che mediamente consumano più di 20 litri di vino pro-capite all’anno. Nessun’altro continente garantisce una cultura del vino così diffusa ed un consumo pro-capite così elevato. Da più parti si tende a considerare l’Europa come un mercato maturo. Questo è vero solo in parte, ma il vino italiano sui mercati dei vari Paesi europei è ancora lontano dall’avere guadagnato le posizioni che gli spettano. Gli spazi da aggredire con possibilità di successo restano molto ampi».
Sul “fronte” italiano, Gaja teme soprattutto il pericolo di politiche tendenzialmente “terroristiche” sul consumo del vino, troppo spesso omologato agli altri alcolici. «Credo che sia giunto il momento - spiega Gaja - di avviare una ricerca scientifica, rigorosa con l’obiettivo di verificare se il processo di metabolizzazione dell'alcool sia diverso a seconda che la bevanda alcolica venga consumata congiuntamente al cibo, oppure venga consumata fuori dai pasti. Tutti sanno che bere due bicchieri di vino accompagnati al cibo non comporta nessuna particolare euforia o stato d’alterazione. Ma se quegli stessi due bicchieri di vino vengono consumati a digiuno, l’effetto ebbrezza è certo ed immediato.
Quale è la fisiologia che regola le due diverse reazioni? Se fosse vero l’assunto che il vino consumato con educazione ed accompagnato dal cibo viene metabolizzato lasciando inalterate le facoltà del bevitore, sarebbe anche possibile separare il vino dalle altre bevande alcoliche (che normalmente vengono consumate fuori pasto). E così il processo di demonizzazione dell’alcool in atto nel nostro Paese, sarebbe per il vino assai meno devastante».

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