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“PER SALVAGUARDARE LA TIPICITÀ DEI PRODOTTI DOBBIAMO STUDIARE BENE LE DENOMINAZIONI E CONCENTRARE MEGLIO LE RISORSE DI PROMOZIONE”. LO DICE DARIO CASATI, DOCENTE DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO

“Occorre scegliere e studiare attentamente le denominazioni per non incorrere in inconvenienti come quello del Tocai in cui abbiamo perso una battaglia per un prodotto che credevamo nostro e abbiamo scoperto non esserlo in base alle regole comunitarie”. Parola di Dario Casati, ordinario della Facoltà di Agraria dell’Università di Milano che, a WineNews.tv, ha illustrato il suo pensiero sul presente e futuro delle denominazioni italiane, ma anche su ciò che l’agricoltura del Belpaese non ha fatto e deve invece fare se vuole continuare a competere sui mercati sempre più globalizzati e non perdere la sfida con l’industria.
Secondo Casati, è fondamentale “potenziare le denominazioni perché oggi sono troppo piccole e funzionano poco economicamente, basti pensare che le prime cinque denominazioni da sole rappresentano il 70% del valore di mercato ma non dimentichiamo che in Italia le denominazioni sono 165. Ritengo poi che in questi anni abbiamo portato avanti una politica insufficiente per l’agricoltura, in cui si è lavorato per depotenziare il settore, mentre dovevamo investire e innovare per farne un settore forte. Solo un’agricoltura forte può sostenere dei prodotti forti, che sono le denominazioni di origine, e permettere di valorizzare meglio la nostra materia prima agricola”.
Da Casati anche un invito a concentrare gli sforzi e sviluppare sinergie sul fronte della promozione dei prodotti “made in Italy”. “Pensiamo a tutte le sagre paesane che ci sono in Italia in cui si spendono migliaia di euro per propagandare, il formaggio il vino o il riso locali che tutti nella zona conoscono benissimo. Se invece tutti i paesi di un territorio, le Province o le stesse Regioni concentrassero le risorse si potrebbe sviluppare una massa critica più importante per fare promozione”.
“I prodotti locali - aggiunge il docente - quando vanno sui mercati si trovano a concorrere con quelli gestiti dalle industrie. E le industrie hanno le loro strategie di marca e di prezzo e investono in pubblicità. Le grandi denominazioni italiane, come la mozzarella di bufala, i prosciutti o la mortadella, campano da sole ma quelle più piccole hanno seri problemi. Finiamo così per trovare spesso prodotti deprezzati sulle bancarelle della sagra. Studiamo allora meglio le strategie commerciali e pensiamo che l’agricoltura deve essere aiutata senza andare in rodine sparso”.

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