Un matrimonio reso forte dalla passione per il vino e per l’arte, quello tra l’enologo Marco Pallanti e Castello di Ama, azienda simbolo del Chianti Classico, di cui è anche presidente. Un binomio che festeggia le sue “nozze” d’argento, 25 anni di esclusiva fedeltà, con la presentazione della vendemmia 2006 e con un’opera dell’artista Giovanni Ozzola: un trittico fotografico, dal titolo “Omnia Munda Mundis”, esposto nella Cappella di Villa Ricucci nella Tenuta.
La storia di Marco Pallanti e di Castello di Ama è un intreccio non solo professionale, ma anche umano: Lorenza Sebasti, moglie di Pallanti e amministratore delegato dell’azienda, ha personalizzato i vini dell’annata 2006, Castello di Ama, Vigneto Bellavista, Vigneto La Casuccia e L’Apparita, con la frase vergata a mano “Grazie Marco per questi 25 anni insieme. L.”.
Un connubio felice arricchito dalla nascita di tre figli, Arturo, Norma e Gemma.
Tanti i successi che Pallanti, che ricopre anche la carica di presidente del Consorzio del Chianti Classico, e Castello di Ama anno raccolto insieme: oltre a vini sempre premiati dalla critica, i riconoscimenti come “miglior enologo” del Gambero Rosso/Slow Food (2003) e “miglior azienda” (2005) sempre del Gambero Rosso/Slow Food.
Ma oltre al vino, Castello di Ama è diventato negli anni anche un’importante punto di riferimento per l’arte contemporanea, come testimoniano le installazioni di Michelangelo Pistoletto (L’albero di Ama - divisione e moltiplicazione dello specchio, 2000); Daniel Buren (Sulle vigne: punti di vista, 2001); Giulio Paolini (Paradigma, 2002); Kendell Geers (Revolution, 2003); Anish Kapoor (Aima=Sangue, 2004), Chen Zhen (La lumière intérieur du corps humain, 2005); Carlos Garaicoa (Yo no quiero ver más a mis vecinos, 2006) e Nedko Solakov (amadoodles, 2007).
Il 21 settembre vernissage dell’opera d’arte numero nove, realizzata dalla spagnola Cristina Iglesias (Towards the ground).
La domanda - Marco Pallanti, cosa vuol dire fare l’enologo oggi nel 2008 rispetto a quando ha iniziato. Quale pensa che sarà in futuro il ruolo dell’enologo in azienda?
“Rispetto a quando ho iniziato ora l’enologia rischia di essere troppo tecnologica. In passato c’era forse un po’ più di empirismo per cui i vini nascevano senz’altro con più difetti ma certamente con maggior originalità. Fare l’enologo oggi vuol dire non cadere nella tentazione del tecnicismo esasperato e usare la scienza soprattutto per eliminare i difetti nel rispetto dell’origine. In pratica, far nascere un vino come se fosse sgorgato naturalmente dall’uva e dalla terra. Mi viene in mente una frase di un grande viticoltore della Borgogna che disse “bisogna conoscere bene l’enologia per poterne fare a meno”. Questo è l’atteggiamento che ho da tempo assunto e che desidero mantenere nel futuro”.
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