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PIERLUIGI BERSANI (PD): “L’AGRICOLTURA ITALIANA DEVE GUARDARE AL FUTURO CON APERTURA MENTALE, PUNTANDO SULLA RICERCA E SUPERANDO POSIZIONI SENZA RESPIRO, COME IL NO IDEOLOGICO AGLI OGM. PUNTARE SU INNOVAZIONE, NON SOLO SU NOSTRA INDISCUSSA QUALITÀ”

“Dobbiamo supportare un lavoro serio di modernizzazione dei nostri apparati agricoli produttivi e commerciali, con una modernizzazione che passa anche attraverso il superamento di posizioni che appaiono senza respiro, come quella del no assoluto e ideologico agli Ogm. Un tema sul quale non possiamo correre il rischio di isolarci dal resto del mondo”. Parole di Pierluigi Bersani, responsabile del dipartimento economico del Pd, nel suo intervento nel Forum “Futuro Fertile” di Confagricoltura, a Taormina.

“Dobbiamo confrontarci con l’innovazione, è una necessità ineludibile, soprattutto spendendoci sul fronte della ricerca e tenendo a mente che si possono percorre strade che non ci facciano perdere terreno, pur nel rispetto di un principio di precauzione che deve salvaguardare la salute dei consumatori e i connotati distintivi del nostro ricco e straordinario patrimonio agroalimentare”.

Un’apertura mentale e uno sguardo la futuro necessario per il made in Italy agroalimentare, “che è un punto di forza assoluto dell’economia del paese - spiega Bersani - , che però non sempre si traduce, come potrebbe, in valore, a causa di diverse criticità che dobbiamo risolvere”.

“La situazione strutturale del tessuto agricolo nazionale è caratterizzata da diverse criticità. Abbiamo un indice di ricambio generazionale della struttura imprenditoriale che è tra i più bassi d’Europa, con una scarsissima presenza di under 35 ed una elevatissima presenza di over 65. Gli investimenti sono anche essi bassi, con una media di 6.500 euro anno per azienda. Il sistema imprenditoriale agricolo è focalizzato principalmente sulle piccole e piccolissime dimensioni(circa l’85% delle aziende agricole sono inferiori ai 10 ha). Solo il 2,2% delle nostre aziende ha una superficie superiore ai 50 ha. Queste debolezze, accompagnate da difficoltà organizzative, limitano oggi il nostro potenziale competitivo. Se guardiamo all’Europa vediamo scenari completamente diversi. Uno dei nostri maggiori competitor, la Francia, ha oltre il 35% delle aziende con una superficie superiore ai 50 ha. Se andiamo oltre l’Europa, ci rendiamo conto che da un lato le economie agricole con grandi risorse naturali (Australia, USA, Brasile con dimensioni aziendali medie superiori ai 200 ha) e dall’altro quelle delle economie emergenti (contraddistinte da un minor costo dei fattori), rappresentano, in un mercato che si allarga, concorrenti con grandi vantaggi generati dalle scale produttive e/o dal costo del lavoro”.

Nonostante queste difficoltà strutturali, secondo Bersani, i nostri prodotti, con il loro bagaglio du qualità, tradizione e legame con il territorio, riescono ad essere competitivi. Anche perché oggi, “a differenza di qualche decennio fa il cibo è solo marginalmente nutrimento. Nelle economie sviluppate e in vaste aree della popolazione di quelle emergenti - continua Bersani - l’alimentazione soddisfa altre esigenze, rispetto alla semplice nutrizione, ed è su questo terreno che il made in Italy agroalimentare mostra i muscoli. Ma lo fa con una situazione organizzativa ancora critica. Anche se le dinamiche all’export mostrano una certa vitalità, siamo ben al di sotto delle potenzialità di sviluppo. Anche la stessa leadership sulle produzioni di eccellenza è nei fatti limitata dalla struttura frammentata e dalla difficoltà di superare i limiti strutturali alla realizzazione di economie di scala, attraverso la realizzazione di economie di scopo.

Scarsa concentrazione produttiva e scarsa integrazione: questi sono i nodi da risolvere per non perdere terreno e per svolgere un ruolo da protagonista sui nuovi mercati (in particolare quelli asiatici), che pure in una fase di recessione come quella attuale continuano, seppur più lentamente rispetto al recente passato, a svilupparsi. La Cina solo negli ultimi cinque anni ha aumentato di circa venti volte il consumo di prodotti alimentari italiani.

Le dinamiche che si registrano sui mercati danno l’idea della forza della nostra offerta, della sua distintività, ma ci mettono anche in guardia: sui mercati emergenti stiamo forse perdendo terreno rispetto a Francia e Spagna (leader per il vino e l’olio rispettivamente). Quest’ultima ormai da qualche anno ci insidia anche sui mercati europei dove siamo tradizionalmente leader (Germania, UK)”.

Questo significa che occorre guardare ad alcune grandi questioni, da affrontare per vincere la sfida del rilancio della nostra agricoltura: “la qualità che contraddistingue le nostre produzioni, legate a tradizione e territorio, non basta più per vincere sui mercati: dobbiamo pertanto continuare a valorizzare la qualità oggi sintetizzata dai nostri 171 prodotti certificati in sede europea, che pone il nostro pese in testa alla graduatoria europea, guardando anche alla quantità e alla massa critica. Se consideriamo il complessivo fatturato ascrivibile ai prodotti a marchio europeo, che ammonta a circa 4.700 mln di € euro, possiamo vedere che l’85% di esso è riconducibile a soli 10 prodotti, caratterizzati da grandi volumi e da strutture altamente organizzate. Inoltre il fatturato ascrivibile ai prodotti Dop e Igp è ben poca cosa rispetto, al fatturato dell’industria alimentare italiana (oltre 100 miliardi di euro). Anche se il confronto non è tecnicamente corretto, rende l’idea dei valori in campo”.
Un altro aspetto su cui è il momento di fare chiarezza, secondo Bersani, è la distinzione tra ciò che, in agricoltura, è davvero impresa e cosa non lo è.

“L’Istat rileva circa 1,8 milioni di aziende agricole - spiega Bersani - e di queste circa la metà non svolge alcuna funzione commerciale (si tratta di hobby farm o di aziende di autoconsumo). Soltanto il 15% di queste supera la soglia delle 16 Unità di Dimensione Europea (equivalenti al reddito medio di un lavoratore italiano). Un tessuto produttivo bipolare: da un lato strutture marginali sotto il profilo imprenditoriale, anche se importantissime in termini di salvaguardia a ambientale e presidio sociale del territorio, che sono numerosissime, e dall’altro le imprese vere, che stanno sul mercato, decisamente inferiori in termini numerici. Una situazione che evidenzia la necessità di un approccio differenziato. Si tratta di due universi diversi che vanno seguiti e supportati con politiche differenziate. Da un lato ci sono formule che svolgono una funzione integrativa dal punto di vista territoriale, dall’altro imprese che hanno problemi strutturali di adeguamento ai mercati, alle nuove tecnologie, ai nuovi flussi logistici.

Una condizione essenziale per il successo sui mercati delle nostre imprese agricole e agroalimentari è la partecipazione a forme di concentrazione e organizzazione dell’offerta che permettano di raggiungere dimensioni più significative e di aumentare la reciproca utilità degli scambi con le fasi a valle. Dove la concentrazione è maggiore ci sono le performance maggiori. Questo è un sentiero che viene imposto dalle moderne formule distributive, dove peraltro il ruolo delle private label è sempre più significativo e questo richiede competizione sulla qualità, sui costi, sull’organizzazione. Tutti vogliono i nostri prodotti, ma non tutti possono acquistarli. Sembra un paradosso ma è così. Oggi raggiungere i mercati e dialogare con le grandi piattaforme logistiche e distributive richiede un salto di qualità soprattutto organizzativo. Questo è l’elemento centrale dell’attuale scenario competitivo. Le nostra agricoltura produce valore soprattutto in rapporto alla capacità di esportare, di dialogare con le fasi a valle. Non possiamo esaurire il ventaglio delle risposte ai bisogni dell’agricoltura italiana con la filiera corta o i farmer’s market, strumenti che hanno una indubbia utilità ma che non risolvono il problema della competitività.
Il nostro sistema agroalimentare produce valori soprattutto sui mercati all’export. L’orizzonte è, quindi, in termini competitivi, ben altro. Dobbiamo continuare a concentrarci sui fattori dimensionali e organizzativi, per modernizzare le formule della nostra imprenditorialità agricola, sostenendola con interventi infrastrutturali e logistici, per favorirne il collegamento con i mercati e i canali distributivi”.

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