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“NO ALL’AGRICOLTORE PANETTIERE, CONCORRENZA SLEALE”: LO DICE LA FIPPA. PANIFICATORI “GOVERNO FA DEMAGOGIA”. CONFAGRICOLTURA: “CON DECRETO IMPRESE RECUPERANO VALORE”. COLDIRETTI: “DA AGRICOLTORI SOLO PANE DI GRANO ITALIANO”. MA C’E’ CHI DICE NO ...

“Stop all’agricoltore-panettiere, è concorrenza sleale”. Lo dice la Federazione Italiana Panificatori contestando il decreto firmato dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che consente agli agricoltori di produrre e vendere pane fresco. D’accordo Assopanificatori, secondo cui “il Governo del fare continua a non mantenere le promesse ed a procurare nuovi danni ai panificatori”. Di segno opposto le dichiarazioni di Confagricoltura, per la quale: “il decreto ministeriale 212/2010 permette un regime di tassazione più vantaggioso, calcolato sulla base del reddito agrario”. Sulla stessa linea di Confagricoltura, la Coldiretti, che sottolinea come “dagli agricoltori potrà essere acquistato solo il pane fatto con il grano italiano”.

Per la Fippa il decreto 212/2010 è un provvedimento che aprirà di fatto “a un vero e proprio Far West del mercato” e contro il quale l’associazione è pronta a “prendere in considerazione forme di mobilitazione generale che sino ad oggi abbiamo cercato di evitare”. Per il presidente della Fippa, Luca Vecchiato “ci troviamo a dover competere contro una categoria di privilegiati fiscali, la cui pressione è di oltre il triplo inferiore alla nostra, con un regime forfetario che si ferma al 15%. Un paradiso fiscale - prosegue - rispetto al comparto della panificazione artigianale, che tra imposte dirette e indirette sconta il 52% di tasse sul reddito trasformato. A chiudere il cerchio - aggiunge - sono le modalità di vendita, quelle dei “super incentivati” farmer’s market, già criticati dai commercianti in diverse zone d’Italia”. “Siamo già stritolati da un mercato in flessione - prosegue Vecchiato - e da una concorrenza, quella della Gdo, che offre in gran parte pane surgelato, preconfezionato e in cassetta. Per farci riconoscere dai consumatori attendiamo da 4 anni dal ministero dello Sviluppo Economico l’emanazione del regolamento attuativo sul pane fresco, un atto dovuto dopo le liberalizzazioni del decreto Bersani che hanno colpito, tra i pochissimi, la categoria dei panificatori. Oggi, la risposta arriva con un decreto beffa che dovrà essere modificato; per questo - conclude - abbiamo inviato una lettera al ministro Galan con la richiesta di un incontro urgente.

Dello stesso tenore la posizione di Assopanificatori, espressa dal presidente Mario Partigiani, secondo il quale “è inaccettabile questo ulteriore beneficio fiscale a favore degli agricoltori, categoria già ampiamente agevolata, dai carburanti al fisco, alla previdenza, alla normativa tecnica igienico-sanitaria”. La previsione contemplata dal decreto Tremonti di inserire i guadagni derivanti dalla vendita di pane nei redditi agricoli e’ inaccettabile e demagogica: si vede che si preparano le elezioni. Non si capisce come gli agricoltori che producono grano possano panificare. Non sfugge a nessuno che il pane si ottiene dalla farina, (oltre che dall’acqua, dal lievito, dal sale ed eventuali condimenti), non certo dal grano e per fare la farina e’ necessario passare dal mulino. Hanno anche il mulino? Ciò che si contesta, in un settore ampiamente liberalizzato e che conta 26.000 aziende con 90.000 addetti, è che senza rispetto delle norme igienico-sanitarie, e in regime di agevolazione fiscale, si possa fare concorrenza ad aziende che debbono sopportare costi altissimi di gestione. I consumi di pane pesano per l’1,4% della spesa delle famiglie italiane, il grano in quanto tale pesa all’interno della produzione di pane per il 15% essendo tutte le altre voci di costo riferite a dipendenti, fitti, utenze, spese di gestione. Non puo’ passare sotto traccia il fatto che nella divisione del reddito dei prodotti di origine agricole, secondo fonti Ismea, il 36,71% va all’agricoltura e solo il 29.35% al dettaglio. “Per questo -conclude Partigiani - chiediamo il ritiro del provvedimento ed il varo del decreto per la specificazione di pane fresco e la corretta utilizzazione della parola panificio”

La replica di Confagricoltura in relazione alla ‘‘concorrenza sleale’’ non si fa attendere: “il decreto ministeriale 212/2010 prevede che la produzione del pane e degli altri prodotti di panetteria freschi (e poi farina o sfarinati di legumi da granella secchi, di radici o tuberi o di frutta in guscio) siano, a tutti gli effetti, attività connesse a quella agricola (idem dicasi le produzioni del malto e della birra, ma anche della grappa). Questo permette un regime di tassazione più vantaggioso, calcolato sulla base del reddito agrario. Finalmente - prosegue Confagricoltura - è stato definito che per avere un pane di qualità, così come una birra o una grappa, sono necessarie materie prime di qualità, con una complementarietà importante che dà modo alle imprese agricole di ampliare l’offerta produttiva”. Secondo Confagricoltura il provvedimento contestato dai panificatori “proietta l’agricoltura in una visione nuova, che spinge le imprese del settore ad impegnarsi in attività a valle della produzione agricola vera e propria, recuperando parte del valore aggiunto di cui non hanno mai beneficiato”.

Simile la reazione della Coldiretti, che afferma: “dagli agricoltori potrà essere acquistato solo il pane fatto con il grano italiano coltivato nelle aziende mentre oltre la metà di quello in vendita è ottenuto con farine straniere senza alcuna indicazione in etichetta”, nel sottolineare che le nuove norme offriranno ai consumatori l’opportunità di garantirsi pane italiano al cento per cento, ottenuto spesso attraverso tecniche di lavorazione conservate nel tempo dalle aziende agricole. L’aggiornamento della tabella dei beni che possono essere oggetto delle attività agricole connesse, è dunque importante - sottolinea la Coldiretti - per recuperare l’utilizzo di ingredienti, tipologie di prodotti e tecniche di lavorazione tradizionali, altrimenti a rischio di estinzione. Una opportunità anche per rilanciare i consumi di un alimento base della dieta mediterranea i cui acquisti familiari nel primo semestre del 2010 sono calati del 2,4 per cento, secondo una analisi della Coldiretti sulla base dei dati Ismea-Ac Nielsen.

Dall’analisi Coldiretti si evidenzia anche che gli acquisti familiari degli italiani rispetto al 2000 si sono ridotti di un terzo anche se si assiste ad un interesse per i pani tradizionali ottenuti secondo “tecniche” rimaste inalterate nel tempo (da Lariano a Terni, da San Gaudenzio a Laterza, da Pontremoli a Borgopace) e di quelli tutelati da riconoscimenti a livello comunitario, dove sono state già protette dalle imitazioni la coppia ferrarese Igp, il pane casereccio di Genzano Igp, il pane di Altamura Dop, il pane di Matera Igp e anche la pagnotta del Dittaino Dop. Sono oltre 17 milioni gli italiani che vanno “pazzi” per il pane e lo portano in tavola sempre, sette giorni su sette a tavola ed a cena, mentre sono solo 930.000 quelli che non lo mangiano mai, secondo il rapporto Coldiretti/Censis sulle abitudini alimentari degli italiani.

Ma, sul decreto “agricoltori-panettieri”, la Coldiretti fa orecchie da mercante e fornisce una replica inesatta. Infatti, oltre a non esservi traccia dell’enorme handicap fiscale da noi contestato, la nota è inesatta perché non è vero che il pane dell’agricoltore sarà di solo grano italiano. Lo sostiene la Federazione Italiana Panificatori (Fippa), che replica così alla Coldiretti. Il decreto esprime un concetto di prevalenza e non di esclusività del “prodotto agricolo”. Il grano sarà quindi solo in prevalenza dell’azienda agricola “nei limiti del doppio delle quantità prodotte in proprio dall'imprenditore agricolo”: in sintesi, la quantità minima della produzione propria sarà del 50%, mentre il resto sarà acquistato esternamente, allo stesso modo dei panificatori. E poiché l’Italia non è autosufficiente relativamente al proprio fabbisogno di frumento, le farine acquistate proverranno inevitabilmente anche dall’estero.

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