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DA NEW YORK A PHILADELPHIA, DALLA LIBERA CONCORRENZA AL MONOPOLIO: ECCO I DIVERSI VOLTI DEL MERCATO AMERICANO ESPLORATI DAI PICCOLI PRODUTTORI CON “VINITALY IN THE WORLD”. “L’ABC” PER PORTARE I PROPRI VINI NEL RICCO MERCATO DI PENNYSILVANIA ...

Italia
Come portare i vini italiani in Pennsylvania

Il mercato americano? Forse meglio dire “i mercati americani”. Basta spostarsi di meno di 200 km, come hanno fatto i produttori protagonisti della tappa statunitense del “Vinitaly in the World”, che si passa dalla piazza di New York, dove la concorrenza tra importatori e distributori è l’anima del business enoico, a quella di Philadelphia, dove il mercato di vini e alcolici passa tutto per le mani del monopolio, governato dal Plcb, “Pennsylvania Liquor Control Board” (Plcb), che gestisce 620 negozi in tutto lo stato della Pennsylvania, per un pubblico potenziale di 13 milioni di persone, molte delle quali con un elevato potere d’acquisto.
Il concetto è semplice: il Plcb decide quali e quanti vini comprare, sia dagli importatori che direttamente dai produttori, e poi li distribuisce nei vari punti vendita, a seconda della tipologia di reddito della zona circostante. E così, i negozi si dividono in quelli con il solo reparto “regular”, dove si trovano i vini più “economici” e commerciali, e quelli che hanno anche la zona “luxury”, 70 su 620, con i vini più pregiati.
Come si fa ad entrare nel circuito? Le regole sono poche ma rigide: in primis le etichette devono essere approvate dall’Alcohol & Tobacco Tax & Trade Bureau, poi i produttori devono fare si che i loro vini rispettino tutti i requisiti per entrare nella lista, come i codici Scc o Upc, ovvero i codici a barre sulle bottiglie e sulle casse. Naturalmente, a monte, c’è l’aspetto della qualità e dell’appetibilità per il mercato, che viene valutato dal panel di degustatori del Plcb - Pennsylvania Liquor Control Board. Ma non basta ancora: il produttore deve garantire la continuità di approvvigionamento del prodotto, soprattutto nel caso si tratti di vini più economici, per un periodo minimo di 15 mesi. E una volta entrati nel circuito, i vini devono garantire un certo livello di vendite, pena essere eliminati. In tutto questo, il vini italiani sono i primi tra quelli importati, e rappresentano il 25% di un mercato 6 milioni di casse e 1,8 miliardi di dollari all’anno. Dove sta la convenienza per i produttori? Semplice: nel fatto che essendo un organismo statale che ridistribuisce buona parte degli utili alla società civile, per esempio finanziando le forze di polizia per il controllo sugli abusi, non ha interesse a tirare troppo sul prezzo (anche se l’obiettivo è quello di spuntare sempre la quotazione migliore), al punto che per non far oscillare troppo le quotazioni delle bottiglie, il margine di ricavo per il Plcb è fissato al 30%, tasse escluse. Il che, tradotto in freddi numeri, significa che una bottiglia che esce a 10 dollari dalla cantina italiana, arriva sullo scaffale a 18 dollari, contro i 40 di New York.
Un mercato, dunque, che può rappresentare un approdo ideale per le cantine che per la prima volta cercano di sfondare negli States, come hanno spiegato anche Deidra Costello, Matt Shwenk e Joe Via del Plcb, ma anche Chuck Silio, vice presidente e direttore esecutivo di Southern Wines & Spirits, un colosso della distribuzione americana, in cui il solo Silio, che per i vini italiani vede un futuro “radioso”, fa girare più di 2 milioni di casse di vino, di cui il 10% italiano.
Un sentiment positivo anche per Carmine Venecchia, alla guida di Terranova Import Corporation, piccolo importatore con un occhi particolarmente attento alle piccole cantine italiane, e anche per Mario Mele, ex membro del Plcb e presidente della Fondazione Caterina de’ Medici Gastronomic, che ha come obiettivo la diffusione della cultura del wine & food italiano. “Quando ero nel Plcb il vino e l’alcol erano visti come fenomeni potenzialmente “pericolosi” da tenere sotto controllo, ma ora le cose sono cambiate. Per lo stato di Pennysilvanya ora sono fonti di business, l’approccio è diverso, il vino in particolare è visto come un prodotto culturale e come una risorsa”. Un sentiment che non può che essere di buon auspicio anche per i produttori italiani.
Info: http://www.lcb.state.pa.us

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