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FONTE ANSA - DAL CABERNET DI SHANXI AL MERLOT DI SHANDONG AL BORDEAUX DI HEBEI, LA CONCORRENZA AL MADE IN ITALY VIENE DALLA CINA: BOOM DI PRODUZIONE E PRESTO SUPERPOTENZA VINICOLA. RICCI CURBASTRO (FEDERDOC): “MA QUALITA’ CI PREMIA”

Cabernet Sauvignon di Shanxi, Merlot di Shandong, Bordeaux di Hebei: la concorrenza al Chianti e al Barbera viene dalla Cina. Il Paese della Grande Muraglia sta imparando a fare il vino e presto bottiglie con le etichette Great Wall, Dynasty o Changyu potrebbero trovare un posto nelle enoteche dell’Occidente. Come ogni altro tipo di export dalla Cina, anche quello del vino marcia a passi da gigante: nel 2006 i cinesi non erano neanche tra i 10 maggiori produttori di vino del mondo ma entro la metà del prossimo decennio il vino di quel Paese batterà, quanto a quantità, quello australiano, con una produzione annuale destinata a salire da 72 milioni di casse a 128 milioni entro il 2014: le stime sono dell’International Wine and Spirits Research di Londra per la fiera di settore Vinexpo.
Finora il grosso di questa produzione è stata per consumo interno e ha una cattiva reputazione tra gli enofili ma, come sempre in Cina, basta cominciare per sfondare in tempi brevi il mercato. La vasta disponiblità di terreni per vigneti e la varietà di clima e topografia fanno della Cina “una potenziale superpotenza” nel settore della viticultura, ha scritto oggi il quotidiano Uk “Independent”. Tra l’altro, a quanto pare, ai cinesi ricchi il vino piace moltissimo come hanno dimostrato le aste di questo fine settimana: a Hong Kong, che dopo Londra e New York è diventata il centro più importante per le vendite all’incanto, la collezione di bottiglie pregiate del compositore Andrew Lloyd Webber ha permesso di rastrellare 5,6 milioni di dollari contro la stima di 4,1 milioni.
Pensando ai nuovi enofili cinesi il gruppo francese “Marie Claire ”sta per lanciare una edizione cinese di uno dei più illustri mensili di vini del mondo, “Revue du Vin de France”, mentre Dynasty Fine Wines, una dei maggiori produttori del Paese che è in parte controllata dal gigante del liquore francese Remy Cointreau, sta facendo shopping di vigneti: “abbiamo visitato oltre venti fattorie e quelle in Francia e Australia sono ai primi posti sulla nostra lista delle aquisizioni”, ha detto al “China Daily” il presidente Bai Zhisheng, con l’obiettivo di ottenere “la migliore qualità del vecchio mondo e la scala di produzione del nuovo mondo”.
La Cina non è d’altra parte il solo Paese delle “nuove latitudini” che si è buttato nella vinicultura: la sfida al Chianti oggi viene anche dallo Shiraz di Bangalore, dal Cabernet del Brasile o dal Chenin thailandese: vini favoriti dal cambiamento climatico su cui si sono buttati con entusiasmo i grandi operatori del settore: da Lvmh Luis Vuitton Moet Hennessy a Pernod Ricard e Veuve Cliquot Ponsardin, producendo nel terzo mondo bottiglie che potrebbero presto far concorrenza a Francia, Italia e Usa.

Focus - Ricci Curbastro (Federdoc): “Cina cresce ma qualità ci premia. Da mercati forte considerazione per il vino italiano”
“Che la Cina stia crescendo sul mercato del vino lo sappiamo già da qualche anno. Dopodiché starà ai produttori europei mantenere la leadership che oggi hanno, garantendo dei livelli qualitativi che gli altri dovranno continuare ad inseguire”. Lo afferma Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc, Confederazione dei consorzi per la tutela delle denominazioni dei vini italiani. “Oggi l’Australia è un concorrente importante - aggiunge Ricci Curbastro - ma siamo riusciti a tenere botta, sono convinto che terremo testa anche alla Cina”.
Sulla qualità del vino cinese, il presidente di Federdoc osserva che “in Cina si cono cose buone, meno buone e pessime. Il problema non è la qualità, che è fatta solo da caratteristiche organolettiche o analitiche, ma anche di quello che il mercato percepisce. Tutti sappiamo che un Brunello di Montalcino, un Barolo, un Chianti classico, un Franciacorta e un Prosecco hanno un percepito da parte del pubblico italiano ed estero diverso da altri vini che pure non sono meno buoni. Il consumatore recepisce particolari: comunicazione, territorio, salubrità, carbon footprint, ovvero la cosiddetta impronta ecologica per parlare di una cosa che ora va di moda. Ci sono insomma mille altri parametri che vanno a inserirsi sul concetto di buono e di qualità e questi fanno la differenza. Su questo la Cina deve fare ancora mola strada”.
Intanto Assoenelogi sottolinea come il vino italiano si stia affermando sempre più sul mercato cinese, parallelamente a forte aumento del consumo del vino in tutta l’area asiatica. L’export di vino italiano in Cina è cresciuto in volumi del 216,3% nel periodo gennaio-ottobre e del 102% in valore.

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