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VINO: SE LA TECNOLOGIA E LA SCIENZA FANNO BENE IN VIGNA E IN CANTINA, MA PAURA NELLA COMUNICAZIONE. A WINENEWS NE PARLANO ATTILIO SCIENZA, TRA I MASSIMI ESPERTI DEL MONDO DI VITICOLTURA, E MARIO FREGONI, UNO DEI PIÙ AUTOREVOLI RICERCATORI IN MATERIA

Italia
I professori Scienza e Fregoni

Vino e ricerca scientifica: il gene “Dxs” individuato dai ricercatori dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige che determina l’aromaticità delle uve è solo l’ultimo esempio di come si stia evolvendo lo studio della genetica delle vite e dell’uva. Ogni sequenziamento dei codici genetici completi di alcuni vitigni, come la Corvina, ed ogni altra scoperta è qualcosa di positivo, di potenzialmente utile. Eppure, al di fuori della comunità scientifica, si fa ancora fatica a recepirle in maniera positiva, perché il vino, o meglio la comunicazione e la pubblicità che lo riguardano, sono sempre ancorati a valori come tradizione, naturalità, storicità, peraltro validissimi, che però rischiano di connotare negativamente tutto quanto c’è di nuovo.

Il problema è che “quando si introduce un linguaggio più complicato come quello della genetica - spiega il professor Attilio Scienza, tra i massimi esperti mondiali di vitivinicoltura - il consumatore ha subito un atteggiamento di sospetto, c’è paura della scienza. Dobbiamo superare questa barriera, dando una maggiore informazione, con razionalità. Dovremo fare sempre più i conti con il Dna, con la genetica, ma sono parole che il consumatore ha paura di pronunciare, e dovremo fare in modo di adattarle per far passare in modo positivo il messaggio del vino come “prodotto tecnologico”, che vuol dire anche salubrità, sicurezza, rispetto della salute”.

E poi ci sono anche altri aspetti da considerare, come spiega Mario Fregoni, ricercatore e ordinario di viticoltura dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza: “la cultura di molti viticoltori è tale che non si rendono conto del livello a cui è arrivata la ricerca, ma anche i ricercatori non sanno comunicare i risultati in modo tale che vengano capiti al di fuori del mondo della ricerca. E poi manca in Italia quello che c’è negli Usa, ovvero che nella ricerca vive anche chi poi trasmette le informazioni e le scoperte a chi poi si occupa di applicarle con assistenza tecnica e così via, traducendole in modo comprensibile”.

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