“Uno strumento di promozione dell’agroalimentare italiano è indispensabile, purtroppo Buonitalia non sembra rispondere al meglio a questa esigenza”: sono parole del Ministro delle Politiche Agricole, Saverio Romano, che, a WineNews, denuncia la disfunzionalità del sistema-Paese.
“Non possiamo continuare ad assistere a manifestazioni promozionali, finanziate con denaro pubblico, che non portano alcun beneficio di ritorno al settore e che tolgono spazio ad una missione unica. Sono convinto che la strategia vincente, nella promozione all’estero dei nostri prodotti, sia quella di “mettere avanti” un’eccellenza italiana conosciuta ed apprezzata, così che faccia da traino non tanto a produzioni poco rinomate, ma all’intera filiera: è questa che dobbiamo far conoscere. In questo modo possiamo - e dobbiamo - investire il 70% delle risorse nella promozione all’estero, ed il 30% in Italia”.
Nei mercati esteri è fondamentale, per il Ministro, “parlare la lingua del luogo” dove si vogliono portare le nostre produzioni, utilizzando una comunicazione di alto livello, che non significa “di nicchia”. Anzi, dobbiamo avvalerci di sistemi “di massa”, come - porta ad esempio Romano - le fiction. Insomma, per il Ministro servono progetti mirati e concentrati, non una dispersione di risorse distribuite “a pioggia” ai singoli operatori in modo disorganico, seguendo una precisa startegia di comunicazione. “L’esperienza di Buonitalia - conclude Romano - non sembra aver dato i risultati sperati, ma per dare un giudizio definitivo bisognerà attendere la relazione del Commissario Rodrigo Cipriani Foresio (nominato alla guida di Buonitalia dal Ministero delle Politiche Agricole, dopo le dimissioni del presidente Walter Brunello, ndr) e poi valutare il da farsi”. Il che potrebbe comportare, “extrema ratio”, la soppressione dell’Istituto e la costituzione di una nuova società.
Non c’è dubbio che i principi e le intenzioni che guidano il Ministro non solo sono condivisibili, ma anche oggettivamente valide. Ma cosa potrebbe accadere se la relazione su Buonitalia fosse decisamente negativa? All’orizzonte si scorgono nuvole assai nere: la possibilità della sua chiusura, in nome di una maggiore razionalizzazione dei progetti e degli annessi finanziamenti. Il che, ci sia consentito, ci pare un nonsenso. Come se la soluzione al problema di un’infiltrazione dal tetto fosse il cambiare casa. Anzi, peggio, perché la storia d’Italia ci ha troppe volte insegnato la filastrocca del “cambiare tutto per non cambiare niente”. Noi siamo certi della buona fede del Ministro, ma lui è certo che, sostituendo Buonitalia con un’altra società, il problema sarebbe superato “in saecula saeculorum”? Ancora, cosa succederebbe nel periodo di “vacatio” tra la soppressione di Buonitalia e la nascita dell’ente successore? Si rischia di creare un vuoto, una falla temporale che terrebbe inchiodate ai blocchi di partenza le aziende italiane, mentre i concorrenti internazionali si lanciano in corsa ...
Non si può negare che, talvolta, Buonitalia abbia operato in modo inefficace, frammentario, dispersivo e ognuno aggiunga ciò che vuole. Ma va anche detto, a onor del vero, che la cultura “politicocentrica” tutta italiana non ha aiutato, anzi. Un Istituto pubblico, a maggioranza di partecipazione ministeriale e per il resto divisa tra Ice, Ismea (enti pubblici) ed Unioncamere (ente che, in ultima istanza, se vogliamo, rappresenta le aziende, ma anch’esso pubblico), troppo legato, nelle sue linee di programma, agli indirizzi dei titolari del Dicastero di Via XX Settembre. Troppo dipendente dal “valzer” di Ministri dell’Agricoltura degli ultimi anni e quindi troppo “instabile”, dal che potrebbe dipendere la lentezza nel rendere operativi i progetti di Buonitalia: ancora oggi vi sono fornitori che aspettano la chiusura dei progetti da parte del Ministero. Troppo spesso occupato a risolvere problemi di ordine politico ed amministrativo, piuttosto che ad attuare i progetti veri e propri, che restano così “congelati”.
C’era un punto, nel documento istitutivo di Buonitalia del 2003, in parte, forse, disatteso, che, invece, dovrebbe essere ben considerato: il modello avrebbe dovuto essere l’analogo Istituto francese, Sopexa. Nato nel 1961, Sopexa è partecipato anche dai privati, dalle aziende, dalle imprese. Sono queste che determinano la direzione operativa da seguire, secondo una logica di economia e di mercato: è il motivo per cui Sopexa funziona, indipendentemente dalla politica del Governo, senza inciampi e senza stalli. L’Istituto francese, allora, non può essere un modello solo nelle finalità (non c’è neanche bisogno di un modello, per quelle ...), ma anche - e soprattutto - nella struttura: serve che Buonitalia si orienti secondo la direzione del mercato, e non si può fare senza coinvolgere nelle scelte operative i soggetti privati, quelli che il mercato lo conoscono perché lo vivono ogni giorno della loro vita, come ad esempio i Consorzi o organizzazioni come Federalimentare.
Una Buonitalia snella, versatile, rapida nelle decisioni e negli interventi, la cui mission sia una promozione collettiva, proprio come dice Romano e proprio come pensano anche in Gran Bretagna, dove stanno per “varare” un ente analogo, Food for Britain. Perché non si può più pensare di “galleggiare” nel mercato europeo o - ancor meno - in quello italiano, dove le acque sono rese profonde e agitate dalla concorrenza dei Paesi emergenti (Cina in testa), che giocano la carta vincente di prezzi fortemente competitivi. Oggi la nostra partita si gioca in un campo più vasto, il mondo. E qui, le piccole aziende, che non hanno i mezzi per farcela da sole, hanno bisogno del gioco di squadra. La squadra c’è già, si chiama Buonitalia. Anziché scioglierla, Ministro, rinforziamola e lasciamo che esprima il suo gioco: siamo convinti che possa fare bene. Siamo certi che, sull’argomento, si pronuncerà in tempi brevi, magari a metà giugno, quando il cda si riunirà per l’approvazione del bilancio e quando dovrebbe essere pronta la relazione del Commissario Rodrigo Cipriani Foresio. Mediti, Ministro, se davvero vale la pena, per un ramo secco, tagliare l’intera pianta.
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