“Far alleare i produttori perché costruiscano reti di impresa con l’obiettivo comune della sostenibilità ambientale ed un marchio che ne identifichi la missione “green”, rompendo il contrasto tra i vitivinicoltori tradizionali, che non vanno considerati “il male”, e quelli che credono nel bio, ma che non devono sentirsi i salvatori del mondo. Prendendo il meglio degli uni e degli altri, mettendolo insieme, per migliorare ancora, e raccontare tutto questo al consumatore”. Ecco il messaggio, raccontato a WineNews dal professor Attilio Scienza dell’Università di Milano, che arriva dal Seminario di Marketing del Vino, di scena oggi e domani all’Istituto di San Michele all’Adige. Incentrato su uno dei concetti chiave di questi anni, ovvero una maggiore ecosostenibilità. Che parte dalla ecocompatibilità delle cantine, dalla costruzione all’impatto energetico, fino alla scelta delle bottiglie, come ha spiegato l’enologo Luca D’Attoma. Fino, per esempio, ad un utilizzo più longevo delle barrique, per preservare le foreste secolari da cui viene ricavato il legno. Una sostenibilità che, per essere realizzata, però, deve diventare stile di vita del produttore, ed essere condivisa da chi lavora in azienda. Obiettivo che si raggiunge con il tempo e con progetti, tra gli altri, come SoStain, programma di autovalutazione e miglioramento della filiera aziendale, coordinato dalle Università di Piacenza e di Milano, e che ha come cantine pilota due griffe dell’enologia siciliana, Tasca d’Almerita e Planeta. “L’obiettivo di tutti - spiega Scienza - è risparmiare energia e rispettare il prodotto. E questo si può fare, per esempio, con l’agricoltura di precisione fatta non solo con le macchine, ma anche con la perizia dell’intervento umano. Senza per forza essere bio. Trend che, peraltro, a dispetto di quel che si dice, sta vivendo qualche criticità. Sembrava dovesse esserci il boom, ed invece il vino biologico o biodinamico è solo il 3-4% di quello italiano. C’è troppo “fai da te”, troppe autocertificazioni, e anche quella europea non ha l’efficacia di una marca, che va costruita, per impattare sul mercato. E poi ci sono tanti personaggi che arrivano da altri settori, affascinati dal bio e che si mettono a fare vino senza le dovute competenze, danneggiando anche chi biodinamico e biologico lo fa davvero e seriamente, e lo vive non solo come scelta produttiva, ma come filosofia di vita”.
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