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DAL PESCE SPATOLA ALLA LAMPUGA, DAL SUGARELLO ALL’AGUGLIA, LECCIA STELLA E RAZZA: SONO I “PESCI DIMENTICATI” DEL MEDITERRANEO E LA “BUONA” OCCASIONE PER RISCOPRIRLI È LA TAVOLA DELLE FESTE. ECCO IL CONSIGLIO DELL’ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA

Dal Pesce Spatola alla Lampuga, dal Sugarello all’Aguglia, dalla Leccia Stella all’Alalunga, passando per la Boga, l’Occhiata, la Palamita, il Potassolo, il Grongo, la Razza e il Tombarello: sono i “pesci dimenticati” del Mediterraneo da riscoprire, perché no, nella tavola delle feste in cui la tradizione domina incontrastata. E’ il consiglio dell’Accademia Italiana della Cucina che spiega come sono molte le specie del “Mare Nostrum” finite nelle braccia dell’oblio (su circa 200 varietà ittiche solo il 10% trova spazio nelle pescherie italiane, dove trionfano sempre gli stessi pesci), ma che con menu ad hoc “indimenticabili” da proporre, proprio per la cena di “magro” della vigilia di Natale, dove per tradizione la carne è bandita e il pesce regna sovrano, è possibile riportare in tavola (info: www.accademiaitalianacucina.it).
“La globalizzazione dei consumi che fissa l’attenzione commerciale sempre sulle stesse specie, rischia di oscurare un pezzo della nostra storia gastronomica - spiega il presidente del Centro Studi dell’Accademia Italiana della Cucina, Paolo Petroni - e almeno a Natale, quindi lasciamo stare pesci costosi come aragoste e astici e riscopriamo il piacere di cucinare specie ittiche tradizionali come ad esempio il pesce azzurro, di cui abbondano i nostri mari e che un tempo era riservato esclusivamente alla cosiddetta cucina povera”.
La stragrande maggioranza delle specie ittiche presenti nel Mediterraneo non trova spazio infatti nelle nostre pescherie, sottolinea l’Accademia, dove dominano incontrastate una ventina di varietà. Pesci, molluschi, crostacei, echinodermi, sono circa 200 le specie ittiche che vivono nel Mediterraneo, ma di fronte a questo immenso patrimonio alimentare, solo il 10% arriva con una certa regolarità sui banchi delle pescherie, appannaggio di circa 20-25 varietà, sempre le stesse, tra le quali spiccano vongole, seppie, calamari, sogliole e spigole. La ridotta conoscenza dei prodotti ittici presenti nei nostri mari ha portato i consumatori a scegliere sempre gli stessi pesci con il risultato che oggi è cresciuta a dismisura la nostra dipendenza dall’estero: nel 2011 le importazioni di specie ittiche, secondo l’Ismea, hanno raggiunto le 950.000 tonnellate.
In questo scenario, l’Accademia Italiana della Cucina, in vista delle festività natalizie, momento di massimo picco dei consumi di pesce, invita gli italiani a riscoprire per il menu, rigorosamente di magro, del 24 dicembre, alcune specie “dimenticate” (c’è anche il volume edito dall’Accademia “L’Italia del Pesce”). Ce ne sono tante nel “Mare Nostrum”, sottolinea l’Accademia, straordinarie per sapore, sostegno all’ecosistema e anche risparmio: dal Pesce Spatola (meglio se cucinato all’eoliana) alla Lampuga, dal Sugarello all’Aguglia (da fare marinata) alla Leccia Stella (che fa accoppiata vincente con il pomodoro). Ma l’elenco è lunghissimo e annovera anche l’Alalunga, la Boga (imperdibile alla pescatora), l’Occhiata, la Palamita (da provare al tegame con i piselli), il Potassolo, il Grongo (ottimo da fare arrosto), la Razza e il Tombarello. Si tratta di “pesci non convenzionali”, cioè quelle specie locali presenti nei nostri mari in quantità abbondanti, che spesso e volentieri vengono addirittura ributtate in mare perché non richieste dai mercati, generando anche un grande spreco di risorse ittiche.
“Oggi la cucina del pesce sta vivendo in Italia un momento favorevole, soprattutto per l’importanza che possiede questo alimento all’interno di un regime dietetico basato sulla dieta mediterranea - sottolinea il presidente dell’Accademia Italiana della Cucina, Giovanni Ballarini - ma non possiamo tuttavia dimenticare che, malgrado le acque pescose, questo alimento veniva una volta scarsamente considerato e relegato nel “mangiar di magro” del venerdì e degli altri giorni di digiuno religioso. Inoltre la rivalutazione della cucina del pesce passa non solo per le indiscutibili proprietà nutrizionali ma anche per i valori culturali che porta con sé, in primis il rispetto per la tradizione”.

Focus - Alla scoperta di alcuni “pesci dimenticati” del Mediterraneo con l’Accademia Italiana della Cucina e come prepararli …
Lampuga (Coryphaena Hippurus): pesce pelagico d’alto mare lungo quasi 2 metri, così chiamato per la fronte che ricorda il cavallo. In cucina è l’ideale sostituto di trancio di spada, cernia o spigola grazie alle sue carni molto sode. Si può preparare in mille modi: è ottima sia sott’olio, nella zuppa o gratinata;
Leccia Stella (Trachinotus Ovatus): specie migratoria che nuota in banchi e normalmente raggiunge i 30 cm. Presenta carni sode che si adattano ad ogni preparazione: al forno se intera, alla griglia in tranci, ma è ottima anche in carpaccio. Inoltre si presta in modo particolare ai sughi per realizzare dei primi piatti da leccarsi i baffi;
Aguglia (Belone Belone): pesce che nuota a scatti velocissimi e spesso salta fuori dall’acqua. Possiede carni di buona qualità, anche se con diverse spine ed il suo prezzo è sempre contenuto. Si pulisce come l’anguilla, incidendola all’altezza del collo per eliminare la pelle. Ottima alla griglia e in forno;
Sugarello (Trachurus Trachurus): pesce azzurro che si rifugia spesso all’ombra di meduse sotto le quali trovano riparo e protezione senza alcun pericolo, in quanto immuni dal veleno dei loro tentacoli. È una specie molto economica e le sue carni sono leggere, saporite e si prestano a un sacco di preparazioni: è ottimo bollito, in umido, al forno o alla griglia. L’unico difetto è che va spinato attentamente ma con un po’ di pazienza o l’aiuto del pescivendolo, il gioco è fatto;
Pesce Sciabola, chiamato anche Pesce Spatola (Lepidopus Caudatus): viene pescato nel Basso Adriatico, nel Tirreno ma soprattutto nello stretto di Messina tanto da aver dato vita ad un vero e proprio mestiere: “lo spadularu”, pescatore di spatola, che si tramanda di padre in figlio. Proprio la bontà delle sue carni gli è valsa il nome dialettale messinese di “signurina du mari”. Le sue carni sono saporite, dal colore rosato: ottime soprattutto se cucinate fritte o marinate.

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