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TORNA L’”EARTH DAY”, CHE UNISCE NEL RISPETTO PER LA TERRA 175 PAESI IN TUTTO IL MONDO, E IN ITALIA È L’AGRICOLTURA A FARSI CARICO DELLE SFIDE FUTURE, TRA CONSERVAZIONE DELLE SUPERFICI AGRICOLE E GREEN ECONOMY. FOCUS - L’APPELLO DELLE CITTÀ DEL VINO

Non Solo Vino
Oggi Giornata mondiale della Terra

Torna la “Giornata Mondiale della Terra” (Earth Day), la festa nata nel 1970 per sottolineare la necessità della conservazione delle risorse naturali della Terra, e che oggi, grazie all’impegno delle Nazioni Unite (specie della Fao e dell’Unesco), coinvolge ben 175 Paesi in tutto il mondo, e centinai di piazze, da Melbourne a Dubai, da Pechino a Rio de Janeiro unite dall’amore per la “Madre Terra” (www.earhday.org). Tra cui, ovviamente, l’Italia, che guarda al settore sentinella della propria ricchezza ambientale e paesaggistica, l’agricoltura, con un misto di preoccupazione e speranza, con la certezza che la sensibilità per i grandi temi come la difesa delle superfici agricole, la green economy nei campi, o il no agli Ogm, è sempre più diffusa e condivisa.
Preoccupazione perché, come ricorda Coldiretti, l’Italia ha perso negli ultimi venti anni 2,15 milioni di ettari di terra coltivata per effetto della cementificazione e dell’abbandono, che ha tagliato del 15% le campagne colpite da un modello di sviluppo sbagliato, che ha costretto a chiudere 1,2 milioni di aziende agricole nello stesso arco di tempo. Per rendere ancor meglio l’idea, ogni giorno viene sottratta terra agricola per un equivalente di circa 400 campi da calcio (288 ettari) con il risultato che 5 milioni di cittadini si trovano in zone esposte al pericolo di frane e alluvioni, che riguardano il 9,8% dell’intero territorio nazionale. E ad aumentare è anche la dipendenza degli italiani dall’estero per l’approvvigionamento alimentare, con la produzione nazionale che nel 2012 è stata in grado di garantire appena il 75% del fabbisogno alimentare degli italiani, il che vuol dire, tra l’altro, un maggior impatto climatico dovuto ai trasporti. Il modo per uscirne c’è, e passa per la difesa del proprio patrimonio agricolo e della propria disponibilità di terra fertile dalla cementificazione nelle città e dall’abbandono nelle aree marginali con un adeguato riconoscimento dell’attività agricola.
Una strada che non appartiene appieno alla sensibilità della classe dirigente del Belpaese, ma che invece riguarda sempre più da vicino i cittadini, che sostengono con le proprie scelte di acquisto l’agricoltura ed i prodotti locali del territorio: sono 21 milioni gli italiani che, nell’ultimo anno, hanno fatto la spesa “salva clima” nei mercati degli agricoltori di Campagna Amica, dove sono stati acquistati prodotti a chilometri zero, prodotti del territorio, messi in vendita direttamente dall’agricoltore nel rispetto di precise regole comportamentali e di un codice etico ambientale, sotto la verifica di un sistema di controllo di un ente terzo. Nei mercati di campagna Amica vengono contenuti gli sprechi di imballaggi con l’offerta, ad esempio, di latte sfuso, sono banditi gli ogm e sono messi a disposizione spesso servizi di consegna a domicilio soprattutto per gli anziani, così che la spesa “salva clima” degli italiani nei mercati degli agricoltori è stata capace di ridurre di 98 milioni di chili l’anidride carbonica ad effetto serra emessa nell’atmosfera.
Anche la Cia - Confederazione Italiana Agricoltori è consapevole della centralità del settore primario nelle sfide dei prossimi anni, a partire dal capitolo energia: se verranno rispettati gli obiettivi europei, infatti, entro il 2020 il 45% delle rinnovabili verrà dalle campagne, cioè dalla rivalutazione energetica degli scarti di campi e stalle. Un’opzione, quella di optare per la produzione di biomasse e biogas, in grado di diminuire l’impatto ambientale dell’impresa, che coinvolge soprattutto i più giovani, come dice la stessa Cia. Ma quanto può incidere sul fabbisogno interno la riconversione delle aziende agricole? Fino a 20 miliardi di euro in termini di costi, con un beneficio all’ambiente di 240 milioni di tonnellate in meno di Co2 nell’aria nei prossimi dieci anni. L’agricoltura che fa bene all’ambiente, quindi, fa bene anche a se stessa, e lo dimostra il fatto che dal 2008 a oggi la produzione di energia da biomasse agroforestali è cresciuta del 60% all’anno. Una delle fonti più redditizie è fornita dagli scarti delle potature di alcune delle nostre più importanti produzioni nazionali: l’olivicoltura. E si stima che solo da rami e fronde degli ulivi della regione più olivicola d’Italia - la Puglia - si potrebbero ricavare 700.000 tonnellate l’anno di biomassa: materiale di scarto che viene trasformato con un macchinario aziendale in cippato e pellet, fonti di energia termica da riscaldamento domestico con una resa altissima, pari all’85%.

Focus - L’appello delle Città del Vino per la Giornata Mondiale della Terra
“Mettere a disposizione i terreni di proprietà dei Comuni per favorire la nascita di nuove imprese agricole o, nel caso di spazi più limitati, di orti urbani e spazi verdi collettivi, piccole coltivazioni di frutta, alcuni filari di vigna, magari di vitigni antichi e autoctoni tipici di quel luogo”. È l’appello-proposta che, proprio oggi, in occasione della “Giornata Mondiale della Terra” le Città del Vino lanciano ai sindaci delle terre del vino, ma anche tutti gli altri primi cittadini italiani, per la salvaguardia dei terreni agricoli che rischiano non solo la cementificazione, ma anche l’abbandono (www.terredelvino.net).
La Giornata Mondiale della Terra, indetta dalle Nazioni Unite, si celebra oggi, 22 aprile, giorno in cui nel 1970 nacque negli Stati Uniti un movimento guidato dal senatore Gaylord Nelson che incoraggiò i suoi studenti a mobilitarsi per le cause dell’ambiente. Ogni anno si calcola che 500 milioni di persone partecipano alle iniziative legate all’evento. E anche le Città del Vino lanciano la propria proposta rilanciando un tema, quello della tutela delle aree agricole e del paesaggio che sta molto a cuore ai Comuni del vino e per il quale le Città del Vino si battono da sempre.
“In un momento così difficile - sottolinea il presidente delle Città del Vino Pietro Iadanza - per le casse comunali, la tentazione di vendere terreni di proprietà per fare cassa, con il rischio di aumentare i volumi di nuovo cemento, è forte, ma occorre riflettere su possibili occasioni di sviluppo locale a costo zero per la pubblica amministrazione e a saldo positivo per la tutela dell’ambiente, la salvaguardia del paesaggio e, perché no, anche è per l’avvio di piccole imprese produttrici di ortofrutta a chilometro zero. Molti Comuni dispongono di terreni che, per vincoli o destinazioni d’uso stabilite dai piani urbanistici, non possono essere, per fortuna, utilizzati per realizzare insediamenti produttivi o abitativi, rischiano però di essere abbandonati se già non lo sono da tempo perché il Comune non dispone delle risorse e del personale per la loro cura”.
E proprio questi terreni, infatti, secondo le Città del Vino, potrebbero essere affidati a cooperative, associazioni di volontariato, associazioni di pensionati, singoli cittadini che, pagando magari un piccolo e simbolico affitto annuale, potrebbero riqualificare le aree verdi abbandonate trasformandole in orti urbani, piccole coltivazioni di frutta, quand’anche impiantare alcuni filari di vigna, magari di vitigni antichi e autoctoni tipici di quel luogo, anche solo per rendere più gradevole il paesaggio urbano.

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