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L’internazionalizzazione delle imprese dell’agroalimentare ed i 130 milioni di euro del “piano Calenda” spariti nella “Legge di Stabilità”: ecco, stando a rumors WineNews, i temi dell’incontro tra il premier Renzi e i big del wine & food italiano

Non Solo Vino
Il Ministro Martina con il Premier Renzi

L’export, si sa, è da qualche anno, e lo sarà anche nel futuro più prossimo, l’unico traino per la crescita del made in Italy agroalimentare. Non a caso, il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, a Vinitaly ed in altre occasioni, ha rilanciato l’ambizioso obiettivo di portare il valore delle esportazioni del settore da 30 a 50 miliardi di euro in pochi anni. E di questo lo stesso Premier ha parlato con alcuni big dell’agroalimentare italiano, ricevuti nei giorni scorsi a Palazzo Chigi: da Piero Antinori a Gianni Zonin, per il mondo del vino, da Guido Barilla (Barilla) a Francesco Paolo Fulci (Ferrero), da Luigi Scordamaglia, presidente Federalimentare, a Luigi Cremonini (Gruppo Cremonini), da Enrico Zoppas (San Benedetto) a Luca Garavoglia (Campari), da Antonio Ferraioli (Gruppo La Doria) a Giuseppe Ambrosi (Ambrosi), solo per fare qualche nome, alla presenza del Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, della Salute Beatrice Lorenzin, e dello staff economico di Palazzo Chigi, si apprende dall’Ansa.
Difficile conoscere nel dettaglio i contenuti dell’incontro ma, da fonti sentite da WineNews, al centro della discussione e delle richieste ci sarebbero stati in primis i 130 milioni per l’internazionalizzazione previsti, per il 2015, dal piano del viceministro per lo Sviluppo Economico Carlo Calenda, annunciati in estate, e confermati nel decreto “Sblocca Italia”, ma di cui non c’è traccia nella “Legge di Stabilità”. Fondi che, sempre stando ai rumors, il Governo si sarebbe impegnato ad assicurare almeno in parte, per sostenere l’agroalimentare, seconda manifattura del Paese, nel suo processo di internazionalizzazione in un mercato globale dove, oltre alla normale ed agguerrita concorrenza di altri competitor, il Belpaese deve fare i conti con uno strutturale “nanismo” delle proprie imprese e con le contraffazioni e l’italian sounding, da un lato, ennesima testimonianza della fame di made in Italy che c’è nel mondo; dall’altro, piaga che ruba alle imprese 60 miliardi di euro all’anno, il doppio del fatturato “legale”.
Un processo fondamentale, quello dell’espansione oltre confine, se si pensa al primato qualitativo riconosciuto al Belpaese, a cui però, fa da contraltare una percentuale di export sul fatturato complessivo del settore, inferiore a quella di Paesi come Spagna e Francia.

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