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Israele, Turchia, Libano, Cina, Usa, Uk, Bolivia, ma anche Giappone, Georgia, Grecia e non solo: nuovi protagonisti del mercato internazionale sotto i riflettori a ProWein (Dusseldorf, 15-17 marzo), uno degli eventi top del vino mondiale

Italia
La viticoltura a Israele

L’Okuzgozu dalla Turchia, Paese dove il vino si produce da 8.000 anni, ma dove da poco più di due decadi si è tornati a puntare sulla qualità e sui vitigni autoctoni; il Tannat prodotto ad oltre 2000 metri di altitudine in Bolivia; i vini di Israele, dove 2000 anni di “sospensione” della produzione di vino per ragioni storiche hanno di fatto cancellato un patrimonio viticolo ancestrale, con un industria che oggi cerca di rinascere puntando su vitigni internazionali ed expertise francese, come in parte accade in Libano; e ancora i vini della Cina, Paese in cui anche grandi gruppi dell’enologia francese hanno investito o, andando all’altro capo del mondo, quelli degli Stati Uniti di territori diversi dalla California, come Washington, o i Riesling della zona dei Finger Lakes nello stato di New York. E l’elenco potrebbe essere ancora lunghissimo, passando per Georgia, Giappone, Grecia e via dicendo: tutti esempi di nuovi attori che stanno entrando, per ora in punta di piedi, sul grande palcoscenico del vino mondiale, come racconta un primo giro tra gli stand di ProWein, di scena a Dusseldorf (15-17 marzo, www.prowein.com) ormai una delle più importanti ed internazionali fiere del vino mondiale.
Dove se l’Italia è sempre più protagonista (è l’espositore n. 1 in assoluto, con più di 1.200 aziende sulle oltre 5.500 complessiva), la Francia rimane un must tra Champagne, Bordeaux, Borgogna e non solo, è grande attenzione è puntata anche sulle produzioni di Germania e Austria, è sempre di più l’attenzione attirata da Paesi che il vino lo producono da anni, o che si sono affacciati di recente alla produzione, che ora cercano di ritagliarsi un ruolo da protagonisti nel mercato del vino mondiale.

Paesi che dalla semplice produzione di quantità e fondamentalmente per il consumo interno hanno iniziato a puntare sulla qualità e sulle esportazioni, valorizzando, dove possibile, i vitigni autoctoni, o altrimenti cercando di caratterizzare al massimo con le peculiarità dei lori territori, talvolta vicini al deserto, talaltra ad altitudini estreme e via dicendo, i vitigni internazionali di maggior successo nel mondo, scommettendo forte sulla qualità.

Produzioni piccole, e che tali resteranno per limiti geografici (è il caso di Israele), ma che possono diventare grandi anche sul fronte dei volumi, come quelle della Turchia, ad oggi uno dei più grandi produttori di uva a livello mondiale, ma che ne vinifica meno del 5%, che senza ombra di dubbio, secondo le voci degli addetti ai lavori e della critica internazionale, usciranno sempre più dall’ombra, per godere delle luci della ribalta del panorama enologico mondiale.

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