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Un critico che non riesce mai a dare il punteggio massimo, quello della perfezione, ad un vino, fugge dalle sue responsabilità. A dirlo niente meno che il n. 1 al mondo, Robert Parker. “La differenza tra 99 e 100 punti? Le emozioni del momento”

Un critico che non riesce mai a dare il punteggio massimo, quello della perfezione, ad un vino, è uno che fugge dalle sue responsabilità. A dirlo niente meno che il n. 1 al mondo, Robert Parker. Che in un’intervista rilasciata al magazine Uk “The Drink Business” (http://goo.gl/rk0Qdm) spiega: “quanto nella tua testa il vino è il miglior esempio che hai mai assaggiato di quel tipo, hai il dovere, l’obbligo di dargli un punteggio perfetto”. Che, nel caso di Parker, “l’inventore” del “100 point system”, ovviamente, sono i 100/100 . Che lo stesso creatore di “The Wine Advocate” non ha elargito poi con troppa generosità, nella sua carriera, ma che ha comunque via via assegnato a diversi vini (all’Italia è successo pochissime volte, due recentissime, ai Brunello di Montalcino Tenuta Nuova 2010 di Casanova di Neri e Madonna delle Grazie 2010 de Il Marroneto, e poi al Barolo Riserva Collina Rionda 1989 di Bruno Giacosa, al Barolo Riserva Monfortino 2004 di Giacomo Conterno, a Le Pergole Torte Riserva 1990 di Montevertine, Redigaffi 2000 di Tua Rita, e dal Sassicaia 1985 dell’azienda simbolo di Bolgheri, Tenuta San Guido, che ha conquistato i 100/100 non nel momento in cui uscì sul mercato, ma in ben due retrospettive verticali).
“Non è possibile che uno non abbia mai assaggiato un vino che ha ritenuto perfetto”, spiega Parker, e se in quel caso non assegnano i 100 punti, è perché, secondo il critico, si sta sfuggendo ad una responsabilità. Che deriva dalla enorme aspettativa che si crea intorno a quel vino nei winelover, rischiando poi di farli rimanere in quale modo delusi.
“Mi rendo conto che quando dai i 100 punti, che si parli di un film, di uno spettacolo, di un ristorante o di un vino, le aspettative che crei nei lettori sono quasi impossibili poi da soddisfare, li stai predisponendo a rimanere insoddisfatti”. Ma allo stesso tempo, spiega Parker, se in quel momento quel vino ti sembra perfetto, il migliore di quel tipo che tu abbia mai assaggiato, ti devi prendere la responsabilità di segnalarlo come pietra miliare e premiarlo.
Correndo anche il rischio di deludere te stesso, alla prova del tempo, come ammette ancora Parker: “spesso quando riassaggio vini a cui ho dato i 100 punti, mi chiedo cosa ho trovato in quel vino che mi ha spinto a dargli il massimo punteggio. E riconfermo quel punteggio solo nel 50% dei casi”. Perché al di là di tutto, secondo Parker, quello che alla fine fa la differenza tra un grandissimo vino e un “100/100”, sono niente di più e niente di meno “le emozioni del momento, come succede per la musica o per la bellezza. Ci deve essere un responso emozionale, e la dimensione è quella piccola “extra-dimensione” che fa la differenza tra 97, 98, 99 e i 100 punti”.
Per poter giudicare al meglio e spingersi ad assegnare “la lode” ad un vino, come ad ogni altra cosa, però, è fondamentale l’esperienza: “grazie a quella che ho accumulato mi sento più sereno del dare il massimo ad un vino. Una volta che hai degustato vini da tutto il mondo, anno dopo anno, ti fai una sorta di memoria enciclopedica di cosa sono i grandi vini”.
Parole che, di certo, faranno discutere.

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