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La forza produttiva della Spagna è sotto gli occhi di tutti. Quello che non si vede è l’assoluto disordine e l’incostanza con cui le aziende approcciano l’export. Emerge da un’analisi di “Vitisphere” su dati “Icex” (l’Ice di Spagna)

I numeri della Spagna, visti da qui, fanno una certa impressione: una forza produttiva enorme, trainata dalla Regione vinicola più grande d’Europa, la Castilla-La-Mancha, ed un export che continua a crescere a due cifre. Ma a guardare più da vicino, il commercio del vino spagnolo è un palazzo con più di una crepa, come raccontano i dati dell’Icex - Instituto Español de Comercio Exterior (www.icex.es), che fotografano un andamento tutto sommato regolare, almeno per le vendite dell’imbottigliato all’estero che, nel 2014, hanno comunque perso un 3%, proprio a causa del boom dello sfuso dopo l’eccezionale produzione dell’ultima campagna. Stabile, nello scorso anno, anche il numero delle imprese esportatrici, salito fino 3.897 (appena 33 in meno, in termini assoluti, del 2013), per un giro d’affari di 2,52 miliardi di euro (la metà dell’Italia, e comunque meno del 2013, ndr).
Ma dietro ad un’apparente stabilità, che comunque non può far felice il settore, si nasconde un problema strutturale di non poco conto, come svela l’analisi del portale francese “Vitisphere” (www.vitisphere.com): la crescita del numero delle aziende che esportano è quanto di più caotico si possa immaginare. Dal 2000, sono praticamente triplicate (all’epoca erano 1.249), mentre i volumi esportati sono appena raddoppiati, in un’attività segnata dalla più assoluta incostanza: delle imprese che hanno esportato nel 2014, ben il 32% non ha spedito neanche una bottiglia nel 2013, e solamente il 47% è stata sui mercati esteri negli ultimi 4 anni consecutivi. Sono numeri che rivelano una strategia, non strutturata, ma essenzialmente opportunista, volta esclusivamente a svuotare i magazzini, che si traduce poi in un giro d’affari sempre piuttosto basso se paragonato ai volumi esportati.
Ma anche in una polarizzazione assoluta, per cui 1.370 imprese, ad esempio, hanno realizzato appena lo 0,5% degli affari. All’altro lato, le prime cinque aziende hanno concentrato nelle proprie mani il 21% dell’export complessivo.
Uno squilibrio che, comunque, negli anni ha mostrato qualche piccolo miglioramento: nel 2009, infatti, le prime cinque imprese esportatrici avevano una quota del 28% dell’export complessivo, ma se si allarga l’analisi alle prime 1.000, la quota è simile a 5 anni fa, sopra al 98% di tutto il vino spedito. Il che vuol dire che quasi 3.000 aziende, tutte insieme, non valgono che l’1% dell’export enoico spagnolo.

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