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La prima voce dell’export agroalimentare italiano non è il vino, ma il settore ortofrutticolo, che nel 2014 ha toccato i 7,63 miliardi, dice Confagricoltura. Che, da “Fruit Innovation” a Milano, guarda con maggior convinzione all’internazionalizzazione

Non Solo Vino
Ortofrutta regina delle esportazioni italiane con oltre 7 miliardi di euro nel 2014 dice Confagricoltura

L’agroalimentare italiano, negli anni della crisi, ha contribuito non poco a tenere a galla l’economia nazionale, trainato in primo luogo dalle esportazioni, come raccontano, oltre ai dati del settore enoico, quelli dell’ortofrutticolo che, nel 2014, ha toccato i 7,36 miliardi di export, tra ortaggi, frutta e trasformato, come raccontano i dati Istat elaborati da Confagricoltura, che fotografano così la prima voce delle spedizioni agroalimentari del Belpaese.

Proprio sulla consapevolezza di quanto un comparto del genere sia vitale, nasce “Fruit Innovation” (www.fruitinnovation.it), la fiera della filiera ortofrutticola inaugurata oggi a Milano, di scena fino al 22 maggio, “con l’ambizione di essere una grande vetrina internazionale dedicata all’ortofrutta, in grado di competere con “Fruit Logistica” a Berlino e “Fruit Attraction” a Madrid. Non a caso - racconta Nicola Cilento, componente della Giunta nazionale di Confagricoltura - la rassegna si tiene a poca distanza e nel mese di inaugurazione di Expo, valorizzando le logiche di crescita economica della filiera ortofrutticola che è tra le più rappresentative del nostro Paese in termini produttivi e di export”.

L’internazionalizzazione delle imprese, del resto, “è un’opportunità e una sfida che deve essere colta, perché, nonostante già oggi l’ortofrutta, come detto, sia la prima voce dell’export agroalimentare italiano, ci sono ancora molte opportunità. Mercati in crescita - ricorda Cilento - dove le nostre produzioni possono imporsi, come quello cinese, dove negli ultimi 7-8 anni si sono quintuplicate le importazioni di kiwi, o come quello brasiliano, dove l’import di pere è aumentato di quattro volte dal 2003”. E se nei mercati storici le cose continuano ad andare bene, come in Germania (primo mercato, con una quota del 26% del nostro export totale, a quota 1,9 miliardi di euro), Francia, Regno Unito, Austria, Svizzera e Usa, c’è da fare i conti con Paesi Terzi che frappongono delle barriere a volte altissime alle nostre esportazioni. “Non è un problema solo di tariffe doganali elevate - spiega ancora Cilento - che potrebbero essere anche negoziate in un quadro di smantellamento reciproco per creare aree di libero scambio con mutui vantaggi. Si tratta piuttosto di pratiche che limitano l’accesso per ragioni spesso poco o nulla motivate e aggravate da procedure burocratiche onerose”.

La palla passa così, idealmente, a Bruxelles, esortata da Cilento ad impegnarsi sul fronte “della reciprocità di regole condivise per un commercio aperto, ma anche equo e senza discriminazioni. Mentre gli altri Paesi hanno elevato barriere sanitarie e fitosanitarie, l’Europa è in via di principio sempre aperta ai prodotti dei Paesi Terzi. Va introdotto - ha sottolineato Nicola Cilento - il principio di precauzione: non possiamo rischiare di importare parassiti (vedi batteriosi del kiwi, cinipide del castagno, tristeza degli agrumi, e da ultimo la Xylella, di olivi e altre specie arboree) con tutto ciò che ne consegue, ovvero problemi economici, danni ambientali, paesaggistici e di immagine complessiva dell’ortofrutta italiana. Tutto ciò mentre gli altri Paesi si comportano in maniera diametralmente opposta”.

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