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Il vino al ristorante tra carte dei vini e offerta al bicchiere, tra territorio e qualità, ed esigenza di far quadrare i conti. Dal congresso Assoenologi le parole di Heinz Beck, Niko Romito, Oliver Glowig, Livia Iaccarino e Antonella Ricci

Oggi la professione dello chef, o del cuoco, è “cool”, grazie alla tv e a internet che hanno dato fama e visibilità mediatica alla cucina come non mani. “Ma dietro a questo lavoro c’è una fatica intellettuale incredibile: gli che sono persone che lavorano sempre, non si fermano mai, che non vogliono fermarsi mai, che fanno formazione e anche agricoltura, in certi casi”.

Così al congresso di Assoenologi Bruno Vespa, mattatore del dibattito su “La cucina mediterranea e i vini italiani”, con chef come Heinz Beck, tre stelle Michelin del ristorante “La Pergola” del Rome Cavalieri Waldorf Astoria, Niko Romito (il più giovane chef tre stelle) del ristorante “Reale” a Castel di Sangro (L’ Aquila), Oliver Glowig, due stelle Michelin del ristorante Aldrovandi Villa Borghese - Roma, Antonella Ricci, una stella Michelin del ristorante “Al Fornello da Ricci” di Ceglie Messapica (Brindisi) e Livia Iaccarino del Ristorante “Don Alfonso”, due stelle Michelin di Sant’Agata sui Due Golfi (Napoli).

Chef che oggi sono chiamati a valorizzare la dieta mediterranea ed il vino italiano in tutto il mondo, con ricerca e sperimentazione, ognuno con la propria personalità, ma con unico punto fermo: la materia prima che deve essere di qualità assoluta, senza compromessi.

E la stessa cosa vale per il vino, tanto quello che si beve, che quello che, in alcuni casi, si usa per cucinare, “perché un grande vino valorizza un grande piatto - spiega Beck - e viceversa. E devo dire che in 20 anni ho visto una crescita costante del vino italiano, e che continua ancora oggi. È una cosa importante, perché nella qualità di un prodotto c’è anche il suo mercato. Se devo fare concorrenza a livello mondiale, devo portare sul mercato qualcosa di diverso, che non può essere prodotto in altri Paesi, e per questo in Italia si deve puntare sulla capacità degli enologi e di chi lavora nel vino, di valorizzare microclimi, territori e varietà di uve utilizzate. Solo così si puà stare sul mercato: se facciamo vini sempre più simili, come fanno tanti grandi produttori in California o in Australia, per esempio non siamo più competitivi nei loro confronti, che hanno altri margini sui prezzi, loro sono più competitivi sui prezzi. Dobbiamo puntare su qualità, ricerca ed individualità, in modo sempre più specifico: così l’Italia del vino avrà sempre mercato, perché ha una varietà gigantesca di uve, profondamente legate al territorio, legami che affondano le radici nel tempo”.
Territorio che è chiave di volta per il vino in tavola nei ristoranti, come spiegano Iaccarino, Glowig e Ricci.

Ma oggi, soprattutto in Italia, è fondamentale l’offerta al calice, come spiega Romito: “su 100 persone, ormai, 95 scelgono la nostra proposta al bicchiere. Per più motivi. In primis, è impossibile che una sola bottiglia, un solo vino si sposi bene a tutti i piatti di un menù degustazione, per esempio. E poi perché c’è voglia e curiosità, e con il bicchiere si ruotano più vini, si aprono più bottiglie, si fanno conoscere più produttori e territori diversi, è anche un canale di comunicazione incredibile”.

Certo, al ristorante c’è sempre la questione del prezzo. “Ma oggi non si ricarica più come un tempo. Non avrebbe senso, e poi ci sono molte più informazioni, i consumatori sono molto più consapevoli e hanno accesso a molte più informazioni”.

“È anche giusto che i ricarichi si siano abbassati - aggiunge Romito - e poi la tecnologia aiuta il cliente: con lo smartphone vedo subito il prezzo in enoteca del vino che ho ordinato dalla carta, e così la scelta si fa anche più razionale”.

“Certo è più facile ricarichi bassi con vini che girano sui 2-3 anni - aggiunge Iaccarino - ma per vini che tieni in cantina per tanto tempo, magari per oltre 20 anni, come stabilisci il prezzo? Se ci metti i costi sostenuti negli anni per stoccarlo, ti sembra sempre di metterlo a poco”.

Decisivo, in questo senso, il ruolo del sommelier. Per tanti motivi.

Da un consumatore sempre più consapevole alla necessità, comunque, di orientarlo tra carte a volte anche troppo fornite, dall’esigenza di gestire in modo manageriale e professionale la cantina perché rimanga fonte di reddito e non sia solo centro di costo, alla scelta stessa dei vini e delle annate da tenere in carta. Un sommelier che, in estrema sintesi, ha in sala ed in cantina la stessa importanza che ha lo chef in cucina.

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